Para
Key


[2836,2] Ho mostrato altrove [
pp.1808]
[
pp.2640] che
i poeti e gli scrittori primitivi {di qualunque lingua}
non potevano mai essere eleganti {quanto alla lingua,}
mancando loro la {principal} materia di questa
eleganza, che sono le parole e modi rimoti dall'uso comune, i quali ancora non
esistevano nella lingua, perchè scrittori e poeti non v'erano stati, da' quali
si potessero torre, e i quali conservassero quelle parole e modi che già furono
in uso. Onde {quando una lingua comincia}
{ad essere scritta,} tanto esiste della lingua quanto è
nell'uso comune: tutto quello che già fu in uso, e che poi ne cadde, è
dimenticato, non avendovi avuto chi lo conservasse, il che fanno gli scrittori,
che ancora non vi sono stati. Togliere più che tante parole o forme da quella
lingua la cui letteratura serve di modello alla nuova (come gl'italiani
avrebbero potuto fare dalla lingua latina), è pericoloso in quei principii molto
più che nel séguito (contro quello che si stimano i pedanti), anzi non si può,
perchè quando nasce la letteratura
2837 di una nazione,
questa nazione è naturalmente ignorante, e però lo scrittore o il poeta, così
facendo, non sarebbe inteso, e la letteratura non prenderebbe piede, non si
propagherebbe mai, non crescerebbe, non diverrebbe mai nazionale. {
Di più, il poeta sembrerebbe affettato. Vedi in questo proposito la p.
3015.
} Questo medesimo vale anche per le parole
della stessa lingua, rimote più che tanto dall'uso comune, sia per disuso
(seppur lo scrittore stesso o il poeta avesse modo di conoscerle, mancando {fin allora} gli scrittori), sia per qualsivoglia altra
cagione. Bisogna considerare che la nazione in quel tempo è ignorante, e non
istudia, e non leggerebbe quella scrittura o quel poema, benchè scritto in
volgare, le cui parole o modi non fossero alla sua portata, o egli non potesse
capirli senza studiarvi sopra. E poca difficoltà, poca ricercatezza di parole o
di forme basta ad eccedere la capacità de' totalmente ignoranti, quali sono
allora quasi tutti, e degli a tutt'altro avvezzi che allo studio. Ho dunque
detto altrove [
p.70]
[
pp.1808-11]
[
pp.2639-40]
che i poeti e scrittori primitivi tutti o quasi tutti, e sempre o per lo più, sì
nella lingua sì nello stile, tirano al familiare. E questo viene, sì per
adattarsi alla capacità della nazione, sì perchè mancando loro, come s'è detto,
la principal materia dell'
2838 eleganza di lingua,
sono costretti a pigliare una lingua domestica e rimessa, e non volendo che
questa ripugni e disconvenga allo stile, sono altresì costretti di tenere anche
questo, per così dire, a mezz'aria, e di familiarizzarlo. Onde accade che questi
tali poeti e scrittori sappiano di familiare anche ai posteri, quando le loro
parole e forme, già divenute abbastanza lontane dall'uso comune, hanno pure
acquistato quel che bisogna ad essere elegantissime, perlochè già elle come tali
s'adoprano dagli scrittori e poeti della nazione, ne' più alti stili. Ma non
essendo elle ancora eleganti a' tempi di que' poeti e scrittori, questi
dovettero assumere un tuono e uno stile adattato a parole non eleganti, e
un'aria, una maniera, nel totale, domestica e familiare, le quali cose ancora
restano, e queste qualità ancora si sentono, come nel Petrarca, benchè l'eleganza sia sopravvenuta alle loro parole e
a' loro modi che non l'avevano, com'è sopravvenuta, e somma, a quei del
Petrarca. Queste considerazioni si
possono fare, e questi effetti si scorgono, massimamente ne' poeti, non solo
perchè gli scrittori primitivi di una lingua e i fondatori di una letteratura
2839 sono per lo più poeti, ma perchè mancando ad
essi la detta materia dell'eleganza niente meno che a' prosatori, questa
mancanza e lo stile familiare che ne risulta è molto più sensibile in essi che
nella prosa, la quale non ha bisogno di voci o frasi molto rimote dall'uso
comune per esser elegante di quella eleganza che le conviene, e deve sempre
tener qualche poco del familiare. Quindi avviene che lo stile del Boccaccio, benchè familiare anch'esso, massime
ad ora ad ora, pur ci sa meno meno familiare, e ci rende più il senso
dell'eleganza e della squisitezza che quello del Petrarca, e dimostra meno sprezzatura, ch'è però nel Petrarca bellissima. Così è: la condizione del
poeta e del prosatore in quel tempo, quanto ai materiali che si trovano aver
nella lingua, è la stessa (a differenza de' tempi nostri che abbiamo appoco
appoco acquistato un linguaggio poetico tutto distinto): il prosatore si trova
dunque aver poco meno del suo bisogno, e quasi anche tanto che gli basti a una
certa eleganza: il poeta che non si trova aver niente di più, bisogna che si
contenti di uno stile e di una maniera che si accosti alla prosa. Ed infatti è
benissimo definita
2840 la familiarità che si sente ne'
poeti primitivi, dicendo che il loro stile, senza essere però basso, perchè
tutto in loro è ben proporzionato e corrispondente, tiene della prosa. Come fa
l'Eneida del Caro, che quantunque non sia
poema primitivo, pure essendo stato {quasi} un primo
tentame di poema eroico in questa lingua, che ancora non n'era creduta capace,
com'esso medesimo scrive, può dirsi primitivo in certo modo nel genere e nello
stile eroico.

[2840,1] Tutto questo discorso sui poeti e scrittori primitivi di una lingua, si deve intender di quelli che meritano veramente il nome di poeti o di scrittori, e non di quei primissimi e rozzissimi, ne' quali non cade sapore nè di familiarità nè d'eleganza, nè d'altra cosa alcuna determinata e che si possa ben sentire, fuorchè d'insipidezza, non avendo essi nè lingua, nè stile, nè maniera, nè carattere formato, sviluppato, costante e uniforme. E il sopraddetto discorso ha massimamente luogo, e i sunnotati effetti avvengono principalmente nel caso che sui principii di una letteratura compariscano tali e così grandi ingegni che o la creino 2841 quasi in un tratto, o tanto innanzi la spingano dal luogo ove la trovano, ch'essa paia poco meno che opera loro. Il qual caso avvenne alla letteratura greca e alla italiana. {#1. Anche gli antichi e primi scrittori latini hanno sapore e modo tutto familiare, sì poeti, come Ennio e i tragici, di cui non s'hanno che frammenti, Lucrezio ec.; sì prosatori, come Catone, Cincio ed altri cronichisti di cui pur s'hanno frammenti, ec.} Perciocchè quando la letteratura si va formando appoco appoco, e con tanta uniformità di progressi, che mai un suo passo non sia fuor d'ogni proporzione cogli antecedenti, i summentovati effetti sono manco notabili, e manco facili a vedere, trovandosi l'eleganza delle parole e dei modi già {fatta} possibile {coll'abbondanza degli scrittori e l'arricchimento della lingua che dà luogo alla scelta,} e la nazione già capace e colta e studiosa, prima che la letteratura giunga a produr cosa alta e perfetta, e che un grande ingegno faccia uso dell'una e dell'altra disposizione, cioè di quella della lingua, e di quella de' suoi nazionali. (28. Giugno. 1823.). { V. p. 3009. 3413. }