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Frontone. Suo luogo filosofico, notato, ec.
Fronto. A philosophical passage of his, noted, etc.
[542,2] Della superiorità delle forze della natura, della fortuna, {dello spontaneo,} dell'amor naturale e fortuito (materia del pensiero precedente), sopra quelle della ragione, della provvidenza (umana), {dell'arte,} dell'amore ragionato e proccurato, cose sempre deboli, e più eleganti (a tutto dire) che forti e potenti; è degno di esser veduto un luogo insigne ed elegante di 543 Frontone (Ad M. Caes. l. 1. epist. 8. ediz. principe. p. 58-61.) simile in parte ad un altro nelle Lodi della Negligenza. (p. 371.). (22. Gen. 1821.).

[3625,1]
Alla p. 2821 fine. Nótisi il
significato continuativo di confuto
nell'esempio di Titinnio
appo il Forcell.
dove questo verbo sta nel senso
proprio, e questo si è quello di confundo, ma
continuato, come excepto in un luogo di Virgilio da me altrove esaminato [
p.1107],
per excipio. Nótisi ancora che nell'improprio suo ma
più comune significato, confuto è vero continuativo di
confundo. Anche noi diciamo (e così i francesi
ec.) confondere uno colle ragioni, confondere le ragioni di uno, confondere l'avversario ec. e ciò vale confutare, ma questo esprime azione e quello è quasi un atto, e quasi
il termine e l'effetto del confutare ec. Le quali
osservazioni confermano la derivazione di confuto da
noi e dagli etimologi stabilita. Così mi par di spiegare la traslazione del suo
significato da quel di mescere insieme a quel di confutare, e così mi par di doverlo intendere; non
ispiegarlo per compescere e derivar la metafora da
questo lato, come fa il Vossio (ap. Forcell.) il quale anche
3626 par
che derivi confuto da futum
nome (dunque da questo anche futo?), per la solita
ignoranza in materia de' continuativi. E se tal derivazione egli dà (come è
anche più naturale ch'ei faccia) anche al confuto di Titinnio, e lo spiega pure per compesco, s'inganna assai. {
V. p. 3635
}
Significazioni analoghe a quella nostra metaforica di confondere gli avversari ec. vedile nel Forcell. in confundo, confusio, confusus
, {#
nel Gloss. in Confundere
,} avvertendo che la lingua latina
antichissima aveva delle metafore e degli usi di parole molto più simili ai
moderni che non ebbe poi l'aurea latinità, o piuttosto il latino più illustre
scritto; e n'ebbe in grandissima copia; e che queste parole e questi usi, e
generalmente le proprietà del volgare o familiar latino, più si veggono negli
scrittori de' bassi tempi (or v. gli esempi di Sulpicio Severo nel Forc. in confundo
e confusus
), e ne' volgari moderni che negli
aurei scrittori, perchè questi seguivano più l'illustre, e quelli il familiare,
questi fuggivano il volgo, e quelli o per ignoranza o
3627 per elezione, gli andavan dietro, questi avevano una lingua
illustre e una parlata, quelli non avevano già più una lingua illustre che fosse
per essere intesa quando anche l'avessero saputa scrivere, ma lingua scritta e
parlata era per loro una cosa sola, o tra se molto meno diversa che non
nell'aureo secolo e ne' prossimi a quello. Siccome eziandio tra gli scrittori
aurei, i più antichi e i più familiari, semplici e rimessi di stile, più
conservano dell'antico latino, più rappresentano della frase volgare e parlata,
{+più hanno delle voci e locuzioni, e
delle significazioni ed usi di voci, conformi ai volgari. Così Cornelio, Fedro, Celso
ec.} più somigliano quella degli scrittori bassi e de' volgari
moderni. I più antichi (coi quali vanno quelli che più si tennero all'antico per
loro instituto, come Varrone, Frontone ec.) perchè il linguaggio illustre e
scritto non era ancor ben formato e determinato, nè molto nè ben distinto dal
parlato e familiare. I più semplici e rimessi perchè o per istituto o per un
poco meno di abilità nello scrivere {e minore studio fatto
della lingua, o minor diligenza posta nel comporre,} non vollero o non
seppero troppo scostarsi dal linguaggio più noto e succhiato da loro col latte,
cioè dal familiare e parlato. Onde a noi
3628 paiono
amabilissimi e pregevolissimi per la loro semplicità ec. ma certo a'
contemporanei dovettero riuscire poco colti. Osservo infatti che fra gli
scrittori dell'aureo secolo quelli che
fra noi tengono le prime lodi per la semplicità e dello stile e della lingua (la
quale in loro è sempre notabilmente affine alla frase italiana e moderna, ed
anche a quella de' tempi bassi), o non si trovano pur nominati dagli antichi, o
appena, o in modo che la loro stima si vede essere stata come di autori, al più,
di second'ordine. Tali sono Corn. Nepote,
Celso, Fedro, giudicato dal Le
Fèvre il più vicino alla semplicità di Terenzio
(v. Desbillons
Disputat. II. de Phaedro, in fine), e simili. De' quali gli stessi
moderni, vedendo la diversità della loro frase da quella degli altri aurei, e
giudicandola non latina (perchè non molto illustre) hanno disputato se
appartenessero al secol d'oro, ed anche se fossero antichi, ed hanno penato a
riconoscerli per autori dell'aurea latinità; e le Vite di
Cornelio sono state attribuite ad
Emilio Probo
{+(autore assai basso)} per ben
lungo tempo e in molte edizioni ec., Celso
è stato creduto più moderno di quello che è, ec. Fedro è stato attribuito al Perotti,
3629 e negato da molti che la
sua latinità fosse latina ec. (v. la cit.
Disput. del Desbillons). Non così è accaduto nè anticamente
accadde agli scrittori greci più semplici. Effetto e segno che il linguaggio
illustre in Grecia era, come altrove ho sostenuto [
pp.844.sgg.], assai
men diviso dal volgare e parlato, e che la lingua e lo stile greco per sua
natura e per sua formazione e circostanze è più semplice ec. Onde lo stile e la
lingua p. e. di Senofonte fu subito
acclamata, non men che fosse quella di Platone ch'è lavoratissima, ec. e gli scrittori greci più
semplici e familiari non hanno aspettato i tempi moderni a divenir famosi e
lodati ec. Senofonte e Platone nel loro secolo sono i due estremi
quello della semplicità e bella sprezzatura, questo dell'eleganza, diligenza e
artifizio. Pur l'uno e l'altro furono sempre quanto allo stile quasi parimente
stimati da' Greci e contemporanei e posteri, e così da' latini e dagli altri in
perpetuo ec. (8. Ott. 1823.)