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10. Dic. 1821.

[2241,1]  Se la natura è oggi fatta impotente a felicitarci, perchè ha perduto il suo regno su di noi, perchè dev'ella essere ancora potente ad interdirci l'uscita da quella infelicità che non viene da lei, non dipende da lei, non ubbidisce a lei, non può rimediarsi se non colla morte? S'ella non è più l'arbitro nè la regola della nostra vita, perchè dev'esserlo della nostra morte? Se il suo fine è la felicità degli esseri, e questo è perduto per noi vivendo, non ubbidisce meglio alla natura, non  2242 proccura meglio il di lei scopo chi si libera {colla morte} dall'infelicità altrimenti inevitabile, di chi s'astiene di farlo, osservando il divieto naturale, che non vivendo noi più naturalmente, nè potendo più godere della felicità prescrittaci dalla natura, manca ora affatto del suo fondamento? (10. Dic. 1821.).