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10. Gen. 1822.

[2343,1]  Alla p. 1141. fine. Rechiamo un altro esempio del quanto giovi la mia teoria a conoscere e sentire il vero proprio ed intimo significato di moltissimi passi degli ottimi scrittori latini, ignorato finora, o male, o imperfettamente e indistintamente sentito, e interpretato.
Cogite oves, pueri: si lac praeceperit aestus,
Ut nuper, frustra pressabimus ubera palmis.
*
Virg. Ecl. 3. v. 98. 99
. Quel pressabimus che cos'è? Lo stesso che prememus? Non vedete quanto dice di più? Quanto accresce la durata dell'azione di premere? Perocchè vuol dire, se il latte sarà consumato dal caldo, invano staremo lungamente premendo colle mani le mammelle delle pecore. * Infatti quando il latte non viene, tu non ti contenti di premere, ma stai un pezzo premendo, per vedere di farlo venire, e proccurando di farlo venire. D'altra parte è questa forse un'azione frequente? È frequentativo il pressabimus? è diminutivo? Come mai può aver qui loco o la frequentazione  2344 o la diminuzione? Questa sarebbe tutta contraria al proposito: quella niente espressiva. Che cosa è egli dunque il pressabimus? Vero continuativo, esprimente la maggior durata dell'azione significata da premere, e come tale espressivissimo, e proprissimo in questo loco, ed efficacissimo. Efficacia e proprietà che non ha potuto finora esser ben intesa da alcuno che abbia considerato pressare o come sinonimo o come frequentativo di premere, e che non l'abbia tenuto per capace di accrescere la durata dell'azione, cioè per continuativo. V. gl'interpreti. (10. Gen. 1822.). {+Pressare continuativo di costume, v. in Virg. En. 3. 642.}