29. Luglio. 1823.
[3062,3]
Altri due italianismi veggansi in Fedro II. 5. v. 25., e 6. v. 4. -
Desbillons loc. cit. p. LXIV
e LXV.
E notinsi i luoghi di Varrone il quale parla del latino illustre.
{+Altro eziandio III. 6. v. 5. - Desbill. p. LXXI.} Ma Fedro seguiva o s'appressava in molte cose al latino
volgare. Quindi è ch'ha delle frasi tutte sue, cioè che non si trovano negli
altri autori latini, e che sono sembrate non latino. Vedi il Desbillons p. XXII-VI. e gli altri che trattano della sua
latinità. Niuno de' quali, io credo, ha osservato la vera cagione della
differenza di questa latinità dalla più nota. Tutti gli scrittori latini {(anche antichi e veri classici)} che hanno del familiare
nello stile, come, oltre i Comici, Celso (che s'accosta molto a Fedro quanto può un prosatore a un poeta, e che fu pur creduto non
appartenere al secolo d'oro) e
3063 lo stesso Cesare, inclinando per conseg. più degli
altri al {linguaggio} volgare, (benchè moderatamente e
con grazia, come molti degl'italiani, p. e. il Caro), si accostano eziandio più degli altri
all'andamento, sapore ec. {e alle frasi, voci o
significazioni ec.} dell'italiano. Così pure fa Ovidio fino a un certo segno, ma per altra ragione,
cioè per la negligenza e fretta che non gli permetteva di ripulire bastantemente
il suo linguaggio, di dargli dovunque il debito splendore, nobiltà ec.; di
tenersi sempre lontano dalla favella usuale: insomma perchè non sapeva o non
curava di scrivere perfettamente bene, e si lasciava trasportare dalla sua vena
e copia, con poco uso della lima, siccome per lo stile, così per la lingua.
(29. Luglio. 1823.)