2. Luglio[Agosto]. dì del Perdono. 1823.
[3082,1] È cosa dimostrata e dalla ragione e dall'esperienza,
dalle storie tutte, e dalla cognizione dell'uomo, che qualunque società, e più
le civili, e massime le più civili, tendono continuamente a cadere nella
monarchia, e presto o tardi, qualunque sia la loro politica costituzione, vi
cadono inevitabilmente, e quando anche ne risorgono, poco dura il risorgimento e
poco giova, e che insomma nella società non havvi nè vi può avere stato politico
durabile se non il monarchico assoluto. È altrettanto dimostrato, e colle
medesime prove, che la monarchia assoluta, qual ch'ella sia ne' suoi principii,
qual ch'ella per effimere circostanze possa di quando in quando tornare ad
essere per pochi momenti, tende sempre e cade quasi subito e irreparabilmente
nel despotismo; perchè stante
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anzi d'ogni vivente, è quasi fisicamente impossibile che chi ha potere assoluto
sopra i suoi simili, non ne abusi; vale a dire è impossibile che non se ne serva
più per se che per gli altri, {anzi} non trascuri
affatto gli altri per curarsi solamente di se, il che è nè più nè meno la
sostanza e la natura del despotismo, e il contrario appunto di quello che
dovrebb'essere e mai non fu nè sarà nè può essere la vera {e
buona} monarchia, ente di ragione e immaginario. Ora egli è parimente
certo, almeno lo fu per gli antichi, e lo è per tutti i savi moderni, che il
peggiore stato politico possibile {e il più contrario alla
natura} è quello del despotismo. Altrettanto certo si è che lo stato
politico influisce per modo su quello della società, e n'è tanta parte, ch'egli
è assolutamente impossibile ch'essendo cattivo quello, questo sia buono, e che
quello essendo imperfetto, questo sia perfetto, e che dove quello è pessimo, non
sia pessimo questo altresì. Or dunque lo stato
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politico di despotismo essendo inseparabile dallo stato di società, e più forte
e maggiore e più durevole nelle società civili, e tanto più quanto son più
civili, ricapitolando il sopraddetto, mi dica chi sa ragionare, se lo stato di
società nel genere umano può esser conforme alla natura, e se la civiltà è
perfezionamento, e se nella somma civiltà sociale e individuale si può riporre e
far consistere la vera perfezione della società e dell'uomo, e quindi la maggior
possibile felicità d'ambedue, come anche lo stato a cui l'uomo tende
naturalmente, cioè quello a cui la natura l'aveva ordinato, e la felicità e
perfezione ch'essa gli avea destinate. (2. Luglio[Agosto.] dì del Perdono. 1823.).