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22. Agos. 1823.

[3235,2]  Platone nel Sofista verso il fine, edizione dell'Astio, opp. di Plat. Lips. 1819. sgg. t. 2. p. 362. v. 3. sgg. A. penult. pagina del Dialogo. {+Πόϑεν οὖν ὄνομα ἑκατέρῳ τις ἂν λήψεται πρέπον; ἢ δῆλον δὴ χαλεπὸν ὄν, διότι τῆς} τῶν γενῶν κατ᾽ εἴδη διαιρέσεως παλαιά τις, ὡς ἔοικεν, αἰτία * (ἴσ. ἀηδία. Ast.) τοῖς ἔμπροσϑεν καὶ ἀξύννους παρῆν, ὥστε μηδ᾽ ἐπιχειρεῖν μηδένα διαιρεῖσϑαι∙ καϑὸ δὴ τῶν ὀνομάτων ἀνάγκη μὴ σϕόδρα εὐπορεῖν * ;  3236 Unde iam nomen utrique eorum quisquam arripiet conveniens? an dubium non est quin difficile sit, propterea quod ad generum in species distributionem vetustam quandam, ut videtur, et inconsideratam superiores habebant offensionem atque fastidium, ita ut ne conaretur quidem ullus dividere; quocirca etiam nomina non satis nobis possunt in promptu esse? * Astius. Vuol dir Platone e si lagna, che gli antichi greci (e così tutti gli antichi d'ogni nazione) ebbero poche idee elementari, onde la loro lingua (e così tutte le lingue fino a una perfetta maturità e coltura, e fino che la nazione non filosofa) mancava di termini esatti, e sufficienti ai bisogni del dialettico {massimamente} e del metafisico. Ond'è che Platone il quale volle sottilmente filosofare, ed esercitare l'esatto raziocinio, e considerare profondamente la natura delle cose, fu arditissimo nel formare de' termini di questa fatta, ed abbonda sommamente di voci nuove e sue proprie, esatte e logiche ovvero ontologiche, {#1. Vedi la pref. di Timeo al suo Lessico Platonico appo il Fabric. B. G. edit. vet. 9. 419.} che da niuno altro si trovano adoperate, o che da' suoi scritti furono tolte. E notisi che Platone faceva questa lagnanza della sua  3237 lingua, la più ricca, la più feconda, la più facile a produrre, la più libera, la più avvezza e meno intollerante di novità, ed oltre a questo, nel più florido, perfetto ed aureo secolo d'essa lingua, e quasi ancora nel più libero e creatore. Nondimeno a Platone parve scarsa a' bisogni dell'esatto filosofare la stessa lingua greca nel suo miglior tempo, e trattando materie sottili egli ebbe bisogno di parere ardito agli stessi greci in quel secolo, e di fare scusa e addur la ragione del suo coniar nuove voci. Nè certo {si dirà che} Platone le coniasse o per trascuratezza {e poco amore} della purità ed eleganza della lingua, di ch'egli è fra gli Attici il precipuo modello, nè per ignoranza d'essa lingua, e povertà di voci derivante da questa ignoranza. (22. Agos. 1823.).