25. Agos. di di S. Bartolomeo. 1823.
[3254,1] Quello {poi} che ho detto
che una lingua strettamente universale, dovrebbe di sua natura essere anzi
un'ombra di lingua, che lingua propria, maggiormente anzi esattamente conviene a
quella lingua caratteristica proposta fra gli altri dal nostro Soave
(nelle Riflessioni
intorno
3255 all'istituzione d'una lingua
universale, opuscolo stampato in
Roma, e poi dal med. autore rifuso
nell'Appendice 2.a al capo II.o del Libro 3o del Saggio filosofico di Gio. Locke su l'umano intelletto compendiato dal D. Winne tradotto, e commentato da Francesco Soave C. R. S.
tomo 2.do, intitolato Saggio sulla formazione di
una Lingua Universale), la qual lingua o maniera
di segni non avrebbe a rappresentar le parole, ma le idee, bensì alcune delle
inflessioni d'esse parole (come quelle de' verbi), ma piuttosto come inflessioni
o modificazioni delle idee che delle parole, e senza rapporto a niun suono {pronunziato,} nè significazione e dinotazione alcuna di
esso. Questa non sarebbe lingua perchè la lingua non è che la significazione
delle idee fatta per mezzo delle parole. Ella sarebbe una scrittura, anzi
nemmeno questo, perchè la scrittura rappresenta le parole e la lingua, e dove
non è lingua nè parole quivi non può essere scrittura. Ella sarebbe un terzo
genere, siccome i gesti non sono nè lingua nè scrittura ma cosa diversa dall'una
e dall'altra. Quest'algebra di linguaggio (così nominiamola)
3256 la quale giustamente si è riconosciuta per quella maniera di
segni ch'è meno dell'altre impossibile ad essere strettamente universale, si può
pur confidentemente e certamente credere che non sia per essere nè formata ed
istituita, nè divulgata ed usata giammai. Dirò poi ancora, ch'ella in verità non
sarebbe strettamente universale, perch'ella lascerebbe a tutte le nazioni le
loro lingue, siccome ora la francese. Ella di più non sarebbe propria che dei
dotti o colti. Ma di tutti i dotti e colti lo è pure oggidì la francese. Quale
utilità dunque di quella lingua? la quale non sarebbe forse niente più facile ad
essere generalmente nella fanciullezza imparata, di quello che sia la francese,
che benissimo e comunissimamente nella fanciullezza s'impara. E tutti i vantaggi
che si ricaverebbero da quella chimerica lingua, tutti, e molto più e maggiori,
e forse con più facilità si caverebbero dalla lingua francese, divenendo, se pur
bisogna, più comune e più studiata e coltivata di quel ch'ella già sia.
[3256,1] Quanto poi ad una lingua veramente
3257 universale, cioè da tutte le nazioni senza studio e fin dalla prima infanzia
intesa e parlata come propria, lasciando tutte le impossibilità accidentali ed
estrinseche, ma assolutamente insormontabili, che ognun conosce e confessa; dico
ch'ella è anche impossibile per sua propria ed assoluta natura, quando pur gli
uomini che l'avrebbero a usare, non fossero, come sono, diversissimamente
conformati rispetto agli organi ec. della favella ed alle altre naturali cagioni
che diversificano le lingue; di modo che, quando anche superato ogni ostacolo,
una qualunque lingua, per impossibile ipotesi, fosse divenuta universale nella
maniera qui sopra espressa, la sua universalità non potrebbe a patto alcuno
durare, e gli uomini tornerebbero ben tosto a variar di lingua, per la stessa
natura di quella tal favella universale, in cui le condizioni {medesime} che la farebbero atta ad esser tale, sarebbero
in espressa contraddizione colla durevolezza della sua universalità, e
formalmente la escluderebbono. Perocchè una lingua appropriata ad essere
strettamente universale, deve, come
3258 in altri
luoghi ho largamente esposto pp. 3253-54, essere di natura sua,
servilissima, poverissima, senza ardire alcuno, senza varietà, schiava di
pochissime, esattissime, e stringentissime regole, oltra o fuor delle quali
trapassando, non si potesse in alcun modo serbare nè il carattere nè la forma
d'essa lingua, ma in diversa lingua assolutamente si parlasse. Nè senza una
buona parte o similitudine almeno di queste qualità e di ciascuna di esse, la
lingua francese sarebbe potuta giungere a quel grado di universalità largamente
considerata, in cui la veggiamo: nè certo mantenervisi, seppur momentaneamente
vi fosse giunta, come vi giunse un dì la greca. Perocchè queste qualità
indispensabilmente richieggonsi ad una, ancorchè non assoluta o stretta,
universalità durevole di una lingua. Ora una lingua così formata e costituita, e
di tali qualità in sommo grado (come a una lingua strettamente universale si
ricercherebbe) fornita, a pochissimo andare, per cagione di queste medesime
qualità, si corromperebbe e traviserebbe
3259 in modo
che più non sarebbe quella; come altrove ho dimostrato pp. 239. sgg.
pp. 1038-39
pp. 1048-49
pp. 2057-59
pp.
2068-69 di tali lingue non libere, coll'esempio {+(fra l'altre cose)} della latina, la quale,
siccome ogni altra, quantunque servilissima, che si conosca, fu ed è ben lontana
dall'aver queste qualità in sommo grado, come si richiederebbe di necessità ad
una lingua che avesse ad essere strettamente e durabilmente universale. Così
quelle medesime condizioni che da una parte cagionerebbono, e in modo che senza
esse non potrebbe stare, la propria, o vogliam dire esatta, e durevole
universalità di una lingua; d'altra parte e nel tempo stesso, per propria natura
loro, rendono assolutamente inevitabile e inevitabilmente prontissima una totale
corruzione e mutazione della lingua medesima. Onde nè senza esse la {stretta} universalità di una lingua può stare, nè
qualsivoglia universalità durare, come si è altrove provato pp. 838. sgg.
pp.
1039-40
pp.
2007-2009
pp. 2694. sgg. ; e
parimente con esse non può durare nè la stretta universalità nè il proprio stato
di una lingua. Perocchè, quanto al proprio stato, è evidente che una lingua di
necessità corrompendosi e cangiandosi
3260
{del tutto,} di necessità lo perde, cioè perde la sua
forma, proprietà, carattere e natura. E quanto alla stretta universalità, dato
ancora che una lingua {corrompendosi} appo una sola
nazione, si corrompesse ugualmente, di modo ch'ella quantunque mutata da quella
prima, fosse pur sempre una sola in essa nazione, e a tutta comune; egli è
fisicamente impossibile {a seguire,} e assurdo a
supporre che una medesima lingua corrompendosi appo molte e diversissime nazioni
e cambiandosi affatto da quella di prima, pur corrompendosi da per tutto
ugualmente, e facendo da per tutto in un medesimo tempo gli stessi passi, si
mantenesse sempre una sola appo tutte le dette nazioni insieme. La corruzione
non ha legge, e quella che nasce dalla troppa schiavitù e circoscrizione d'una
lingua, n'ha meno che mai, ed è più cieca che ogni altra; nè dove non v'ha
regola alcuna, nè scambievole convenzione e consenso (il che sarebbe contrario
alla natura della corruzione di una lingua), nè conformità di circostanze, quivi
può essere uniformità. La quale se è quasi impossibile in una sola nazione, dal
continuo commercio e da
3261 tante altre circostanze
congiunta insieme e fatta una, quanto più tra molte nazioni, sempre, per quanto
commercio possano avere insieme, disgiunte e fra se diverse! E si è infatti
veduto quanto diversa fosse la corruzione della lingua latina nelle diverse
nazioni in ch'ella si propagò, fino a produrre varie affatto distinte e separate
e separatamente regolate e costituite favelle, che tuttavia si parlano. E ciò
quantunque la lingua latina non fosse d'assai così servile ec. come è necessario
supporre una lingua {strettamente} universale. Resta
dunque provato che una lingua strettamente universale, per cagione di quelle
stesse condizioni ond'ella sarebbe divenuta e con cui sole sarebbe potuta
divenire universale, e senza cui l'universalità sua non potrebbe durare se non
momentaneamente, per causa, dico, di queste medesime condizioni, subitamente
corrompendosi, dividerebbesi ben tosto, per causa di tal corruzione, e quindi
per causa di quelle medesime condizioni, che naturalmente e necessariamente
l'occasionerebbero, in diverse lingue, e perderebbe conseguentemente la sua
3262 universalità, la durata della quale sarebbe fatta
impossibile da quelle med.e[medesime]
condizioni che a tal durata indispensabilmente richieggonsi.
[3262,1] Questo che ho detto di una lingua universalmente
parlata come propria, devesi pur dire di una sognata lingua che {in} tutte le nazioni civili {i}
dotti e {gl'}indotti scrivessero come propria,
rimanendo le varie lingue nazionali pel solo uso di favellare, a un di presso
nel modo che ai bassi tempi le varie favelle o dialetti volgari, scrivendo
tutti, anche notai ec., ogni sorta di scritture in Latino, corrotto e barbaro, e
{secondo i diversi} luoghi diverso, ma pur da per
tutto Latino.
[3262,2] E conchiudo che una lingua universalmente da tutte
le nazioni, anche sole civili, o parlata o scritta, o l'uno e l'altro, ed
intesa, come
propria è impossibile, non solo
estrinsecamente {{e per ragioni estrinseche,}} ma per
sua propria ed intrinseca natura e qualità e proprietà ed essenza, non
relativamente nè accidentalmente, ma essenzialmente, di necessità, ed
assolutamente. (25. Agos. dì di S. Bartolomeo. 1823.).