15. Sett. 1823.
[3430,2] Natura insegna il curare e onorare i cadaveri di
quelli che in vita ci furon cari o conoscenti per sangue o per circostanze ec. e
l'onorar quelli di chi fu in vita onorato ec.
{Veggasi a questo
proposito la Parte primera de la Chronica del Peru di
Pedro de Cieça de Leon. en
Anvers 1554. 8.vo piccolo. cap. 53. fine. a
car. 146. p. 2. cap. 62. 63. 100. 101. principio.} Ma ella
non insegna di seppellirli nè di abbruciarli, nè di torceli in altro modo
davanti agli occhi. Anzi a questo la natura ripugna, perchè il separarci
perpetuamente da' cadaveri de' nostri è, naturalmente parlando, separazione più
dolorosa che la morte loro, la qual non facciam noi, ma questa è volontaria ed
opera nostra, e quella è quasi insensibile a chi si trova presente, e accade
bene spesso a poco a poco; questa è manifestissima e si fa in un punto. E
separarsi da' cadaveri tanto è quasi in natura quanto separarsi dalle persone di
chi essi furono, perchè degli uomini non si vede che il corpo, il quale, ancor
morto, rimane, ed è, naturalmente, tenuto per la persona stessa, benchè mutata
(piuttosto che in luogo di
3431 quella), e per tutto
ciò ch'avanza di lei. Ma d'altra parte il lasciare i cadaveri imputridire sopra
terra e nelle proprie abitazioni, volendoseli conservare dappresso e presenti, è
mortifero, e dannoso ai privati e alla repubblica. I poeti, oltre all'avere
insegnato che nella morte sopravvive una parte dell'uomo, anzi la principale e
quella che costituisce la persona, e che questa parte va in luogo a' vivi non
accessibile e a lei destinato, onde vennero a persuadere che i cadaveri de'
morti, non fossero i morti stessi, nè il solo nè il più che di loro avanzava;
oltre, dico, di questo, insegnarono che l'anime degl'insepolti erano in istato
di pena, non potendo niuno, mentre i loro corpi non fossero coperti di terra,
passare al luogo destinatogli nell'altro mondo. Così vennero a fare che il
seppellire i morti o le loro ceneri, e levarsegli dinanzi, fosse, com'era utile
e necessario ai vivi, così stimato utile e dovuto ai morti, e desiderato da
loro; che paresse opera d'amore verso i morti quello che per se sarebbe stato
segno di disamore, e opera d'egoismo; che l'amore
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così consigliato e persuaso imponesse quello ch'esso medesimo naturalmente
vietava; {+che venisse ad esser secondo
natura e suggerito dall'amor naturale, quello che per se aveva al tutto
dello snaturato;} e che fosse inumanità e spietatezza il trascurar
quello che senza ciò sarebbesi tenuto per inumano e spietato. Così gli antichi e
primi poeti e sapienti facevano servire l'immaginazione de' popoli, e le
invenzioni e favole proprie a' bisogni e comodi della società, conformando
quelle a questi, e si verifica il detto di Orazio nella
poetica ch'essi furono gl'istitutori e i fondatori
del viver cittadinesco e sociale, onde Orfeo ed Anfione furono
eziandio tenuti per fondatori di città. E così gli antichi dirigevano la
religione al ben pubblico e temporale, e secondo che questo richiedeva la
modellavano, e di questo facevano la ragione e il principio e l'origine de'
dogmi di essa: opponendola alla natura dove questa si opponeva alle convenienze
della vita sociale; e vincendo la natura fortissima, coll'opinione ancor più
forte, massime l'opinion religiosa. (15. Settembre. 1823.). {+Chi riguarda come legge naturale il
seppellire o abbruciare ec. i cadaveri, troverà forse in queste osservazioni
di che mutar sentenza.}

[3432,1] Per molte cagioni, anche lievi, l'uomo si getta al
pericolo, anche della morte; di più sacrifica
3433
determinatamente se stesso, danari, robba, comodità, speranze ec. Ma ben pochi
si trovano che per cagioni anche gravi, anche per vive passioni, per amore
ardente ec. si sottopongano o sieno veramente capaci di sottoporsi a un dolore
corporale, anche non grande. S'incontra spesso e facilmente, a occhi veggenti e
volontariamente il pericolo della morte, e quegli stessi non son capaci
d'incontrar volontariamente e scientemente un dolor corporale certo. (15.
Sett. 1823.)