16-18. Settembre. 1823.
[3448,1] Tragedie {o drammi} di
lieto fine. - L'effetto loro totale, si è di lasciar gli affetti dell'uditore in
pieno equilibrio; cioè di esser nullo. - Il fine dei drammi non è, e non
dev'essere, d'insegnare a temere il delitto, cioè di far che gli uomini temano
di peccare. Meglio sarebbe una predica dell'inferno o del purgatorio; e meglio
ancora una
3449 lettura del codice penale, che si
facesse dalla scena. Il loro scopo si è d'ispirare odio verso il delitto. Questo
è ciò che le leggi non possono. Laddove l'ispirar timore è proprio uffizio di
esse, ed esse sole il possono, o certo più e meglio d'ogni altra cosa, eccetto
forse l'esempio vivo de' gastighi, cioè l'effettiva esecuzione delle leggi
penali. Ora la punizione del delitto non ispira odio. Anzi lo scema, perchè
sottentra {e con lui si mescola} la compassione. Anzi
lo distrugge, perchè la vendetta spegne tutti gli odi. Anzi produce un effetto a
lui contrario, perchè la compassione è contraria all'odio; e spesso avviene che
nel veder punito il delitto, questa superi ogni altro sentimento, e gli spenga,
e resti sola; e spesso la pena, benchè giusta ed equa, par più grave del
delitto; e spessissimo è odiosa, parte per la pietà, parte perchè alcuni per
viltà d'animo e poca stima di se stessi, altri per cognizione dell'uomo, si
sentono, più o meno, prossimamente o lontanamente, capaci di peccare; e niuno
ama di esser punito, anzi tutti abborrono il gastigo in se stessi. - Il dramma
3450 di lieto fine coll'effetto di una sua parte
distrugge quello dell'altra. {#
1. Veggasi la pag. 3122.}
Voglio dire la compassione. (Dell'odio verso la colpa, ch'è pur distrutto dalla
catastrofe, ho già detto pp.
3097. sgg. ). Il giusto {ec.} divenuto
felice, per infelice che sia stato, non è più compatito. Ognuno quasi si
contenterebbe di arrivare per la stessa strada alla stessa sorte. L'oppresso
vendicato non è compatito. Ora egli è cosa stoltissima il travagliare in un
dramma ec. ad eccitare un affetto che il dramma medesimo debba direttamente
spegnere, e che, non a caso, ma per intenzione dell'autore e per natura
dell'opera, finita la rappresentazione o la lettura, non debba lasciare alcun
vestigio di se; un affetto che non debba esser durabile, che durando si opponga
all'effetto voluto e cercato dall'autore e dalla qualità del dramma. E quando
l'eccitar questo affetto, come la compassione per gl'immeritevolmente infelici,
è il principale scopo che l'autore e il dramma si propongono (come
ordinariamente accade), il farlo non durevole, il distruggerlo nel suddetto
modo, è contraddizione ne' termini:
3451 principale e
non durevole, principale e da distruggersi appostatamente e volutamente col
dramma stesso, principale e non risultante dal totale del dramma, principale e
da non dover perseverare nè sino alla fine nè dopo la fine, e da non dover esser
prodotto dal dramma considerato nell'intero; dovere dal dramma considerato nell'intero esser prodotto un effetto
diverso, anzi contrario, a quello ch'ei si propone per iscopo principale. - La
naturalezza {#1. Veggasi la p. 3125. 3133.} e la verisimiglianza è maggiore
assai ne' drammi di tristo che in quelli di lieto fine, perchè così va il mondo:
il delitto e il vizio trionfa, i buoni sono oppressi, la felicità e l'infelicità
sono ambedue di chi non le merita. - Ma nel mondo il felice per lo più ha nome
di buono, e viceversa. Il dramma chiama la bontà e la malvagità col loro nome, e
mostra il carattere e la condotta {morale} de' felici e
degl'infelici qual ella è veramente. Quindi la sua grande utilità, quindi l'odio
e il disprezzo {originato dal dramma,} verso i malvagi
benchè felici, e viceversa. Non dall'alterar la natura e la verità delle cose,
facendo sfortunato il vizio e la virtù.
3452 E ben
grande utilità morale, e che ben di rado si proccura e si ottiene, e basta ben a
produr l'odio e l'indignazione, il far conoscere e recar sotto gli occhi le vere
qualità morali e i veri meriti de' felici e degl'infelici. E l'odio, {il disprezzo, il vitupero, l'infamia,} l'indignazione,
la pietà, {la stima, la lode} sono non piccoli, e certo
i soli, gastighi e compensi destinati in questo mondo al vizio e alla virtù. Non
è poco il far che l'una[uno] e l'altra gli
ottengano, che l'uno sia punito, l'altra premiata com'ambedue possono esserlo,
che la natura delle cose abbia luogo, che l'ordine stabilito alle cose umane e
il decreto della natura sia effettuato. Il qual ordine e decreto non è altro che
questo: sieno i malvagi felici ed infami, i buoni infelici e gloriosi o
compatiti. Ordine spesso turbato, e decreto ben sovente trasgredito, non quanto
alla felicità ed infelicità, ma quanto al biasimo e alla lode, all'odio ed
all'amore o compassione. - L'uditore vedendo il vizio e il delitto rappresentato
con vivi e odiosi colori nel dramma, desidera fortemente di vederlo punito. E
per lo contrario vedendo la
3453 virtù e il merito
oppressi e infelici, e rendutigli con bella e viva pittura ed artifizio amabili
e cari dal poeta, concepisce sensibile desiderio di vederli ristorati e
premiati. Or se nè l'uno nè l'altro fa il dramma stesso, {#1. Veggasi la p.
3109-10} cioè lascia il vizio impunito anzi premiato, e la
virtù non premiata anzi punita e sfortunata; ne seguono due bellissimi effetti,
l'uno morale e l'altro poetico. Il primo si è che l'uditore, appunto per lo
sfortunato esito della virtù e il contrario del vizio, che se gli è
rappresentato nel dramma, si crede obbligato verso se stesso a cangiare quanto è
in lui le sorti di que' malvagi e di que' virtuosi, punendo gli uni col maggior
possibile odio ed ira, e gli altri premiando col maggior affetto di amore, di
compassione e di lode. E con questa disposizione tutta di abborrimento e
detestazione verso i malvagi e di tenerezza e pietà verso i buoni, egli parte
dallo spettacolo. La qual disposizione quanto sia morale e buona e desiderabile
che si desti, chi nol vede? E questo
3454 è veramente
l'unico modo di far che l'uditore parta appassionato per la virtù, e
passionatamente nemico del vizio; l'unico modo di ridurre a passione l'amor
dell'una e l'odio dell'altro, cosa difficilissima a conseguirsi oggidì in
chicchessia, e stata sempre difficile ad ottenersi ne' cuori volgari e plebei
della moltitudine; ma cosa dall'altra parte così utile che più non può dirsi,
perchè nè quell'amore nè quell'odio saranno nè furono mai efficaci nell'uomo
essendo pura ragione, e s'ei non si convertano in passione, quali furono non di
rado anticamente. L'effetto poetico si è che un dramma così formato lascia nel
cuore degli uditori un affetto vivo, gli fa partire coll'animo agitato e
commosso, dico agitato e commosso ancora, non prima commosso e poi racchetato,
prima acceso e poi spento a furia d'acqua fredda, come fa il dramma di lieto
fine; insomma produce un effetto grande e forte, un'impressione e una passion
viva, nè la produce soltanto ma la lascia, il che non fa il dramma di lieto
fine; e l'effetto è durevole
3455 e saldo. Or che altro
si richiede {al totale di} una poesia, poeticamente
parlando, che produrre e lasciare un sentimento forte e durevole? quando anche
ei non fosse d'altronde utile e morale, come nel nostro caso. Certo ben
pochissime sono quelle poesie qualunque, che ottengano il detto scopo; e quelle
qualunque pochissime che l'ottengono, non sono e non possono esser altro che
grandi, insigni, famose e vere poesie. Or fate che il dramma dopo avervi mosso
all'odio verso il malvagio, ve lo dia, per così dir nelle mani, legato, punito,
giustiziato. Voi partite dallo spettacolo col cuore in pienissima calma. E come
no? qual vostro affetto resta superiore agli altri? non rimangon tutti in
pienissimo equilibrio? e una poesia che lascia gli affetti de' lettori o uditori
in pienissimo equilibrio, si chiama poesia? produce un effetto poetico? che
altro vuol dire essere in pieno equilibrio, se non esser quieti, e senza
tempesta nè commozione alcuna? e qual altro è il proprio {uffizio e} scopo della poesia se non il commuovere, così o così, ma
3456 sempre commuover gli affetti? E quanto
all'equilibrio, vedete: da una parte l'odio e l'ira che avevate concepita,
dall'altra la vendetta che placa e sfoga l'uno e l'altra; di qua il desiderio,
di là l'oggetto desiderato, cioè il castigo del malvagio. Le partite sono
uguali; l'affare è finito, il negozio è terminato, gl'interessi pareggiati: voi
chiudete il vostro libro de' conti e non ci pensate più. Infatti l'uditore si
parte dal dramma di lieto fine non altrimenti che chi abbia ricevuto un'offesa e
fattone piena e tranquilla vendetta, o ne sia stato pienamente soddisfatto, il
quale torna a casa e si corica colla stessa placidezza e coll'animo così
riposato, come se non gli fosse stata fatta alcuna offesa, e di questa non serba
pensiero alcuno. Bello effetto di un dramma, di una rappresentazione, di una
poesia; lasciare di se tal vestigio negli animi degli spettatori o uditori o
lettori, come s'e' non l'avessero nè veduta nè udita nè letta. Meglio varrebbe
essere stato a uno spettacolo di forze, di giuochi, equestre, {e} che so io, i quali pur lasciano
3457 nell'animo alcuna orma o di maraviglia o di diletto o d'altro.
{Ma} in verità in quella parte dell'anima in cui il
dramma e la poesia deve agire, quivi il dramma di lieto fine non lascia alcun
segno. Se lascia alcuna traccia in altra parte dell'anima, questo effetto o è
alieno dalla poesia, o l'è secondario, o estrinseco, accidentale, di
circostanza, parziale, cioè non prodotto dal totale della composizione, forse
proprio della decorazione, dell'azione ec. dello spettacolo più che del dramma,
non poetico ec. Or quanto all'effetto del dramma di lieto fine poeticamente
considerato, esso è tale qual si è mostrato, anzi non è, perch'esso è nullo, e
perciò che spetta al totale, il dramma di lieto fine non produce, poeticamente,
alcuno effetto. Quanto all'effetto morale, che odio, che ira verso il vizio può
rimanere in chi l'ha visto totalmente abbattuto, vinto, umiliato e punito?
Quella punizione che l'uditore gli avrebbe dato nel cuor suo, l'ha preoccupata
il poeta: questi ha fatto il tutto; l'uditore non ha a far più nulla, e nulla
fa. Quella passione ch'egli avrebbe concepita, l'ha sfogata il poeta da se: al
poeta
3458 dunque rimane. L'ira l'odio che l'uditore
avrebbe portato seco, il poeta l'ha soddisfatto. Odio ed ira e qualunque
passione soddisfatta, non resta. (Non resta, dico, quanto all'atto, di cui solo
è padrone il poeta, e non dell'abito). Dunque l'uditore parte dal dramma senza
nè odio nè ira nè altra passione alcuna contro i malvagi, il vizio, il delitto.
Tutto questo discorso circa la parte che spetta nel dramma ai malvagi, si faccia
altresì circa quella che spetta ai buoni. - Chiuderò queste osservazioni con un
esempio di fatto, narratomi da chi si trovò presente. Si rappresentò in
Bologna pochi anni fa l'Agamennone dell'Alfieri. Destò vivissimo
interesse negli uditori, e fra l'altro, tanto odio verso Egisto, che quando Clitennestra esce dalla stanza del marito col pugnale
insanguinato, e trova Egisto, la
platea gridava furiosamente all'attrice che l'ammazzasse. Ma come in quella
tragedia Egisto
riesce fortunato e gl'innocenti restano oppressi, quivi si vide quello che
possano le vere tragedie negli animi degli uditori, quando elle sono di
3459 tristo fine. Perchè promettendo gli attori che la
sera vegnente avrebbero rappresentato l'Oreste pur d'Alfieri, ove avrebbero veduto la morte di
Egisto, la gente uscì dal teatro
fremendo perchè il delitto fosse rimaso ancora impunito, e dicendo che per
qualunque prezzo erano risoluti l'indomani di trovarsi a veder la pena di questo
scellerato. E l'altro dì prima di sera il teatro era già pieno in modo che più
non ve ne capeva. O moralmente o poeticamente che si consideri un tanto odio
verso un ribaldo {di 3000 anni addietro,} potuto
ispirare e lasciare da quella tragedia, ed una passione così calda, un effetto
così vivo, potuto da lei produrre e lasciare; per l'una e per l'altra parte si
può vedere se le tragedie di lieto fine sieno poco o utili o dilettevoli. E
paragonando gli effetti di questa con quelli dell'Oreste, che certo furono molto
minori e men vivi (sebbene anche questa seconda tragedia sia bellissima), si
sarà potuto notare da qualunque mediocre osservatore se il dramma di tristo, o
quello di lieto fine, sia da preferirsi,
3460 e qual
de' due abbia maggior forza negli animi, e sia d'effetto più teatrale e poetico,
e più morale ed utile. - Si potrà applicare tutto il passato discorso, colle
debite modificazioni, a quei drammi ne' quali l'infelicità de' buoni o degli
immeritevoli, non vien da' cattivi, nè da altrui vizi o colpe, ma dal fato o da
circostanze, quali sono l'Edipo re di Sofocle, {+la Sofonisba d'Alfieri, e molte tragedie
di varie età e lingue,} e molti drammi sentimentali moderni, appresso
varie nazioni. E similmente a quei drammi in cui l'infelicità viene da colpa, ma
o involontaria o compassionevole ec. degli stessi infelici, come appunto si può
dire che sia l'Edipo
re, la Fedra, e molti drammi, {massimamente} moderni, o tragedie ec. E dalle stesse
predette osservazioni si potrà raccogliere se sia meglio che lo scioglimento di
tali drammi sia felice o infelice, che la sorte de' protagonisti si muti o si
conservi la stessa, che di felice divenga infelice, o che per lo contrario, ec.
(16-18. Settembre. 1823.).