19. Sett. 1823.
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Alla p. 2709.
Quasi tutti gli antichi che scrissero di politica (tranne >Cic.
de
rep. e de
legibus), la pigliarono puramente o principalmente dalla
parte speculativa, la vollero ridurre a sistema teorico e di ragione, e
disegnare una repubblica di lor fattura; e questo si fu lo scopo, l'intenzione e
il soggetto de' loro libri. Ond'è che quantunque i moderni, primieramente
abbiano fatto della politica il loro principale studio, secondariamente, come
privati che erano e sono la più parte, e quindi inesperti del governo, sieno
stati obbligati a tenersi in ciò alla speculazione più che alla pratica, e per
la medesima cagione abbiano immaginato, sognato, delirato e spropositato nella
politica più che in altra scienza; nondimeno io tengo per fermo che gli antichi,
{anzi i soli} greci, avessero più Utopie {#1. O sistemi di repubblica o di
legislazione, praticabili o non praticabili, ma certo non praticati, e solo
immaginati e composti da' rispettivi autori. V. Aristot.
Polit. 1. 2. p. 74. 171. 179. fine. 116. {1. 4. p. 289-92. p. 358. fine}.} che
tutti i moderni insieme non hanno. Utopia è la
repubblica di Platone, {+sì quella disegnata nella Politia, sì l'altra
ne' libri delle Leggi, diversa da quella, come osserva Aristotele nel 2.do de' Politici, p.
106-16.} Utopie {furono} quelle di
Filea Calcedonio
(Aristot.
Politic. l. 2. ed. Victorii, Florent. p.
117-26.), e d'Ippodamo
Milesio (ib. p. 127-35.), Utopia è quella d'Aristotele (v. il
Fabricio). {#2. Pare che anche Eraclide Pontico scrivesse de optimo statu civitatis, senza però aver mai trattato le cose
pubbliche. V. Cic.
ad Quint. fratr. 3. ep.
5.
Victor. ad Aristot.
Polit. p. 171.
Meurs. t. 5. p. 114. B-C. t. 6 p. 270. F.} E senza
3470 fallo Utopie furono ancora i libri politici e
peri
nomon o nomoi di Teofrasto, di Cleante e d'altri tali
filosofi, mentovati dal Laerzio, e i
perduti libri pur politici e peri nomon dello stesso Aristotele, e molti altri siffatti. {#1. Così le πολιτεῖαι di Diogene Cinico e di Zenone. V. il Laerz. e la pref. del Vettori alla politica d'Aristot. p. 3. verso il fine. Qua spetta ancora la Ciropedia. V. ivi.
p. 5.}
Aristotele spianta le repubbliche degli
altri, ma nè più nè meno che in filosofia, si crede in obbligo di sostituire, e
ci dà la sua repubblica e il suo sistema. {#2. Ed Aristotele era pur de' più
devoti all'osservazione, tra' filosofi antichi.} E così gli altri. Ed
è pur notabile che gli antichi, e nominatamente i greci, o avevano, o avevano
avuto in mano gli affari pubblici, o potevano averli, o certo, ancorchè stati
sempre privati, erano pur parte delle rispettive repubbliche, e contribuivano
insieme col popolo al governo. E generalmente parlando, nelle antiche
repubbliche, tutte libere, i privati, ancorchè dediti solo a filosofare e
studiare, erano più al caso, se non altro per li {continui} discorsi giornalieri, per lo essersi trovati assai spesso
alle concioni, perchè i negozi pubblici passavano tutti e succedevano sotto gli
occhi di tutti, e le cause {degli avvenimenti} erano
manifeste, e nulla v'avea di segreto;
3471 erano dico
al caso d'intendersi veramente di politica, e di poterne ragionare per pratica,
molto più che i moderni privati non sono, i quali si trovano e si son trovati,
per lo più, in circostanze tutte opposte, e nemmeno fanno effettivamente parte
della loro repubblica e nazione, nè d'altra veruna, se non di nome. E nondimeno
essi seguono nella politica l'immaginazione e la speculazione molto manco, e
l'esperienza e i fatti molto più che gli antichi non fecero, e vaneggiano e
inventano ed errano molto meno. (19. Sett. 1823.).