Recanati. 28. Nov. 1826.
[4228,1]
4228 Molto impropriamente la questione del sommo bene è
stata chiamata la questione dei fini. Il fine dell'uomo è noto e certo a
ciascuno che interroghi se medesimo: un piacere perfetto, non dico in se, e però
non importa se sommo o non sommo, ma perfetto rispetto ad esso uomo; un piacere
che lo contenti del tutto. Questo è il nostro fine, notissimo a tutti, benchè
poi non si possa conoscere di qual natura sia o possa essere questo piacere
perfetto, niuno avendolo sperimentato mai; e per conseguenza che cosa e di qual
natura sia o possa essere la felicità umana. Se la virtù, o la voluttà del
corpo, o altre cose tali, possano proccurare all'uomo il piacere perfetto; o
qual di loro più; o in somma donde possa o debba l'uomo conseguire il piacer
perfetto che egli desidera, e che è il suo fine, questo può ben cadere e cade in
questione; ma tal questione è dei mezzi, non già dei fini. Il fine è certo, il
mezzo s'ignora, e la cagione di questa ignoranza è in pronto. La cagione, dico,
si è che il mezzo o i mezzi di ottener questo fine, che niuno ha mai ottenuto,
non esistono al mondo; che per conseguenza il sommo bene, che ci possa o debba
dare il piacer perfetto che cerchiamo, non si trova, è un'immaginazione, come lo
è questo piacer perfetto esso stesso, quanto alla sua natura; e che infine
l'uomo sa e saprà ben sempre che cosa desiderare, ma non mai che cosa cercare,
cioè che mezzo che cosa possa soddisfare il suo desiderio, dargli il piacer
perfetto, cioè che cosa sia il suo sommo bene, dal quale debba nascere la sua
felicità. (Recanati. 28. Nov. 1826.).