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7. Marzo. Mercordì di quattro tempora. 1827.

[4250,2]  A vóto per frustra. - εἰς κενόν V. Casaubon. ad Athenae. l. 11. c. 6. sul mezzo.
[4250,3]  Parrebbe che tutta quella infinita cura che pose Isocrate circa la collocazione delle parole e la struttura della dizione, non ad altro l'avesse egli posta,  4251 fuorchè a proccurare la più perfetta, la più squisita, la maggior possibile, la più singolare chiarezza. Questa dote non si osserva negli altri autori che l'hanno, se non in quanto nel leggerli non si patisce, vale a dir non si sentono impedimenti e difficoltà. In Isocrate ella si osserva, perchè non solo non si patisce leggendolo, ma per essa si prova un certo piacere. Negli altri ella è qualità negativa, in questo è positiva; ha un certo senso, un sapore proprio. Quel piacere che dà in molti autori una temperata difficoltà che si prova leggendoli, e superando facilmente quella difficoltà ad ogni passo, quel medesimo dà nel leggere Isocrate la somma e straordinaria facilità. Par di sentirvi quel gusto che si prova quando in buona disposizione di corpo, e volontà di far moto, si cammina speditamente per una strada, non pur piana, ma lastricata. Io non credo che si trovi autor così chiaro e facile in alcuna altra lingua, come è Isocrate (e certo senza compagni) nella greca. Esso è facilissimo anche ai principianti in quella lingua, che è pur la più difficile (se non prevale in ciò la tedesca) di tutte le lingue del mondo. Tanto più mirabile in questo, quanto che si sa bene con quanto studio Isocrate cercasse gli altri pregi della dicitura, e soprattutto fuggisse il concorso delle vocali; + [p. 4251,3] difficoltà certo {grandissima,} ed inceppamento; {come ognun vedrebbe provandovisi;} il quale però non ha punto impedito quella maravigliosa facilità. (7. Marzo. Mercordì di quattro tempora. 1827.).