31. Lug. 1828.
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Alla p. 4326.
La mancanza dell'arte necessaria per ottenere il semplice, fu una delle cause
che ritardarono nella letteratura greca, già ricca di versi, la produzione di
buone prose. Chi non voleva scriver plebeo, chi non era affatto ignorante,
sapeva scrivere ornatamente (come sta bene in poesia), ma non (come vuolsi alla
prosa) pianamente. La lingua de' numi, dice il Courier
(pref. al Sag. dell'Erodoto), era benissimo posseduta, mentre la
lingua degli uomini non si sapeva ancora usare. I primi saggi di prosa greca,
come quelli di Ecateo Milesio e di
Ferecide, peccano principalmente,
come osserva esso Courier, per il
poetico che hanno, anche nella dizione. Lo stile riusciva gonfio, non se ne
sapevano guardare: in poesia si trovavan più a loro agio, perchè quivi non era
gonfiezza quel che lo era nella prosa. Anche Erodoto, a ben guardarlo, ha del poetico e del gonfio in mezzo alla
naturalezza propria del tempo. Così noi avevamo Dante, e nessuna prosa di conto fino al Boccaccio. Le migliori erano le più
plebee, scritte da' più ignoranti, senza pretensione, senza neppure intenzione
(per dir così), di scrivere. Ma i prosatori che volevano scrivere, riuscivano
stranamente gonfi (in mezzo alla naturalezza {effetto}
del tempo e della pochissima lettura), come Dino Compagni, similissimi per la meschina gonfiezza e declamazione,
ai fanciulli di rettorica. (31. Lug. 1828.).