18. Marzo 1821.
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Alla p. 762.
Per poco che si osservi facilmente si scuopre che tutte le lingue colte, da
principio hanno avuto e adoperato estesamente la facoltà dei composti, come poi
tutte, cred'io, (eccetto la greca che la conservò fino alla fine) l'hanno quale
in maggiore quale in minor parte perduta. Tutte però hanno conservato o tutti, o
maggiore o minor parte dei loro primi composti, divenuti bene spesso così
familiari, che han preso come apparenza e opinione di radici, e forse così hanno
servito di materia essi stessi a nuove composizioni. La lingua Spagnuola ha
composti, e derivati da' composti (come pure le altre lingue, chè anche questi
derivati sono un bellissimo e fecondissimo genere di parole): ed alcuni
bellissimi e utilissimi {e felicissimi} altrettanto che
arditi, come {tamaño,}
demàs, e da questo {ademàs,}
demasìa, demasiado, {demasiadamente, sinrazon, {+sinjusticia, sinsabor,}
pordiosear cioè limosinare, e pordioseria mendicità,} ec. che
sono di grande uso e servigio. Tutte le lingue colte hanno ancora avuto delle
particelle destinate espressamente alla composizione e che non si trovano fuor
de' composti. Così la greca, così la latina, così la francese, la spagnuola (des ec. ec.), l'inglese
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(mis ec. ec.) ec. Ed è tanta la necessità de'
composti che senza questi nessuna lingua sarebbe mai pervenuta a quello che si
chiama o ricchezza, o coltura, o anche semplice potenza di discorrere di molte
cose, o di alcune cose particolarmente e specificatamente. Perchè le radici
converrebbe che fossero infinite per esprimere e tutte le cose occorrenti, e
tutte le piccole gradazioni, e differenze e nuances
{e accidenti} di una cosa, per ciascuna delle quali
gradazioncelle si richiederebbe una diversa radice, altrimente il discorso non
sarà mai nè espressivo nè proprio, e neanche chiaro, anzi per lo più equivoco,
improprio, dubbio, oscuro, generico, indeterminato. Così appunto avviene alla
lingua ebraica (la quale non par che si possa mettere fra le colte) perchè con
bastanti radici e derivati, è priva di composti: {+o quasi priva: non avendo che fare i
suoi suffissi ed affissi colla composizione, ma essendo come casi {o inflessioni} o accidenti {o
affezioni(πάθη)} de' nomi e de' verbi, o segnacasi ec. e non
variando punto il significato essenziale, nè la sostanza della parola;
come presso noi batterlo, uccidermi, dargli,
andarvi, uscirne ec. che non si chiamano, nè sono composti nel
nostro senso.} Dal che segue ch'ella ed è soggetta alle
dette difficoltà, e disordini; e resta poverissima; ed io dico che tale ci
parrebbe eziandio quando anche in quella lingua esistessero altri libri, oltre
la Bibbia, se però questi libri mancassero parimente de'
composti. Ci vorrebbero, ho detto, infinite radici. Ora
807 una più che tanta moltitudine di radici, è difficilissima per
natura, giacchè un composto subito s'intende, ma perchè una radice, sia subito e
comunissimamente intesa (com'è necessario), e passi nell'uso universale, ci vuol
ben altro. Perciò la invenzione delle radici in qualunque società d'uomini
parlanti, o primitiva o no, è sempre naturalmente scarsa, e povera quella lingua
che non può esprimersi senza radici, perch'ella non si esprimerà mai se non
indefinitamente, ed ogni parola (come accade nell'Ebraico) avrà una quantità di
significati. {+V. se vuoi, Soave, append. al Capo 1. Lib. 3. del
Compendio di Locke, Venezia 3.za edizione 1794.
t. 2. p. 12. fine - 13. e Scelta di opusc. interess.
Milano 1775. Vol. 4. p. 54. e questi
pensieri p. 1070. capoverso
ult.} E se, volete vedere facilmente, perchè una
lingua appena è cominciata a divenire un poco colta, e ad aver bisogno di
esprimere molte cose, e {queste} specificatamente e
chiaramente e distintamente e le loro differenze ec. perchè, dico, abbia subito
avuto ricorso e trovati i composti, osservate. Che sarebbe l'aritmetica se ogni
numero si dovesse significare con cifra diversa, e non colla diversa
composizione di pochi elementi? Che sarebbe la scrittura se ogni parola dovesse
esprimersi colla sua cifra o figura particolare, come dicono della scrittura
Cinese? La stessa
808 facilità e semplicità di metodo, e
nel tempo stesso fecondità anzi infinità di risultati e combinazioni, che deriva
dall'uso degli elementi nella scrittura e nell'aritmetica, anzi in tutte le
operazioni della vita umana, anzi pure della natura (giacchè, secondo i chimici
tutto il mondo e tutti i {diversissimi} corpi si
compongono di un certo tal numero di elementi diversamente combinati, e noi
medesimi siamo così composti e fatti {anche nell'ordine morale come ho dimostrato in molti pensieri
sulla semplicità del sistema dell'uomo p. 53
pp. 181-82
pp. 603. sgg.
pp. 629. sgg.
}); deriva anche dall'uso degli elementi nella lingua. Al che si ponga
mente per giudicarne quanto sia necessario anche oggidì ritenere più che si
possa, e nella nostra e in qualunque lingua, la facoltà de' nuovi composti,
atteso l'immenso numero delle nuove cose bisognose di denominazione (massime
nella lingua nostra); numero che ogni giorno necessariamente e naturalmente si
accresce: e d'altra parte l'impossibilità della troppa moltiplicità delle
radici, sì al fatto, o all'invenzione, sì all'uso, intelligenza, e diffusione,
sì anche alle facoltà della memoria e dell'intelletto umano, {+ed alla chiarezza delle
idee che debbono risultare dalla parola, chiarezza quasi incompatibile
colle nuove radici (v. p.
951.), e compatibilissima coi nuovi composti; oltre alla
mancanza di gusto che deriva
dalle nuove radici, le quali sono sempre termini, come ho spiegato altrove pp. 109-111: non così i composti derivati
dalla propria lingua.} Lo dico senza dubitare. La lingua
più ricca sarà sempre quella che avrà conservata
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lungamente, e più largamente adoperata la facoltà dei composti, e oggidì quella
che la conserverà maggiore, e maggiormente l'adoprerà. L'esempio della lingua
greca, ricchissima fra quante furono sono e saranno, anzi sempre e anche oggi
inesauribile, conferma abbondantemente col fatto questa mia sentenza, già sì
evidente in ragione. E d'altra parte la mia teoria serve a spiegare il secreto e
il fenomeno di una tal lingua sempre uguale alla copia qualunque delle cose. Se
dunque vogliamo che una lingua sia veramente onnipotente quanto alle parole,
conserviamole o rendiamole, e se è possibile, accresciamole la facoltà de' {nuovi} composti e derivati, cioè l'uso degli elementi
ch'essa ha, e il modo, la facoltà di combinarli quanto più diversamente, e
moltiplicemente si possa. Questo, e non la moltiplicità degli elementi forma la
vera {e sostanziale} ricchezza {copia} e onnipotenza delle lingue (quanto alle parole) come la forma
di tutte le altre cose umane e naturali. Generalizziamo un
810 poco le nostre idee, e facilmente ci persuaderemo di questo ch'io
dico, e come, per natura universale delle cose umane, la detta facoltà sia non
solo la principale e fondamentale, ma necessaria e indispensabile sorgente della
ricchezza copia e potenza di qualunque lingua, e della proprietà, definitezza, e
chiarezza dell'espressione: dico quanto alle parole. (18. Marzo
1821.).