24. Marzo 1821.
[865,1]
865 Lodo che si distornino gl'italiani dal cieco amore
{e imitazione} delle cose straniere, e molto più
che si richiamano[richiamino] e s'invitino a
servirsi e a considerare le proprie; lodo che si proccuri ridestare in loro
quello spirito nazionale, senza cui non v'è stata mai grandezza a questo mondo,
non solo grandezza nazionale, ma appena grandezza individuale; ma non posso
lodare che le nostre cose presenti, e parlando di studi, la nostra presente
letteratura, la massima parte de' nostri scrittori, ec. ec. si celebrino, si
esaltino tutto giorno quasi superiori a tutti i sommi stranieri, quando sono
inferiori agli ultimi: che ci si propongano per modelli; e che alla fine quasi
ci s'inculchi di seguire quella strada in cui ci troviamo. Se noi dobbiamo
risvegliarci una volta, e riprendere lo spirito di nazione, il primo nostro moto
dev'essere, {non} la superbia nè la stima delle nostre
cose presenti, ma la vergogna. E questa ci deve spronare a cangiare strada del
tutto, e rinnovellare ogni cosa. Senza ciò non faremo
866 mai nulla. Commemorare le nostre glorie passate, è stimolo alla virtù, ma
mentire e fingere le presenti è conforto all'ignavia, e argomento di rimanersi
contenti in questa vilissima condizione. Oltre che questo serve ancora ad
alimentare e confermare e mantenere quella miseria di giudizio, o piuttosto
quella incapacità d'ogni retto giudizio, e mancanza d'ogni arte critica, di cui
lagnavasi l'Alfieri (nella sua vita) rispetto
all'italia, e che oggidì è così evidente per la
continua esperienza sì delle grandi scempiaggini lodate, sì dei pregi (se
qualcuno per miracolo ne occorre) o sconosciuti, o trascurati, o negati, o
biasimati. (24. Marzo 1821.).