1. Luglio 1821.
[1259,1] Spesso nel vedere una fabbrica, {una
chiesa,} un oggetto d'arte qualunque, siamo colpiti a prima
giunta da una mancanza, da una soprabbondanza, da una disuguaglianza, da un
disordine {o irregolarità} di simmetria ec. ed appena
che abbiamo saputo o capito la ragione di questo disordine, e com'esso è fatto a
bella posta, o non a caso, nè per negligenza, ma per utilità, per comodo, per
necessità ec. non {solo non giudichiamo, ma non}
sentiamo più in quell'oggetto veruna sproporzione, come la concepivamo e
sentivamo e giudicavamo a primo tratto. Non è dunque relativa e mutabile l'idea
delle proporzioni e sproporzioni determinate? E perchè sentivamo noi e formavamo
in quel primo istante il giudizio della sproporzione o sconvenienza? Per
l'assuefazione, la quale in noi ha questa proprietà naturale, che ci fa giudicar
di una cosa sopra un'altra, di un individuo, di una specie, di un genere stesso
sopra un altro, e quindi di una convenienza sopra un'altra. Dal che deriva
l'errore universale, non solo del bello assoluto, ma della verità assoluta, del
misurare tutti i nostri simili da noi stessi, della perfezione assoluta, del
credere che tutti gli esseri vadano giudicati sopra una sola norma, e quindi del
crederci più perfetti d'ogni altro
1260 genere di
esseri, quando non si dà perfezione comparativa fuori dello stesso genere, ma
solamente fra gl'individui ec. (1. Luglio 1821.).