28. Agos. 1821.
[1580,1] Dalla mia teoria
del piacere si conosce per qual ragione si provi diletto in questa
vita, quando senza aspettarne nè desiderarne vivamente nessuno, l'animo riposato
e indifferente, si getta, per così dire, alla ventura in mezzo alle cose, agli
avvenimenti, e agli stessi divertimenti ec. Questo stato non curante de' piaceri
nè de' dolori, è forse uno de' maggiori piaceri, non solo per altre cagioni, ma
per se stesso.
[1581,1]
1581 Parecchie volte un vigore straordinario e
passeggero, cagiona al corpo e a' nervi un certo torpore, per cui l'animo
s'abbandona in seno di una negligenza circa le cose e se stesso, in maniera che
o vede tutto dall'alto, e come non gli appartenesse se non debolissimamente; o
non pensa quasi a nulla, e desidera e teme il meno che sia possibile. Questo
stato è per se stesso un piacere.
[1581,2] Il languore del corpo alle volte è tale, che senza
dargli affanno e fastidio, affievolando le facoltà dell'animo, affievola ogni
cura e ogni desiderio. L'uomo prova allora un piacere effettivo, massime se
viene da uno stato affannoso ec. e lo prova senz'alcun'altra cagione esterna, ma
per quella semplice dimenticanza de'
mali, e trascuranza de' beni, desideri e speranze, e per quella specie
d'insensibilità cagionatagli da quel languore. (28. Agos.
1821.).