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11. Sett. 1821.

[1677,1]   1677 I dolori negli uomini naturali sono vivissimi, come si vede dagli atti e dalle azioni ch'essi ispirano, e ispiravano agli antichi. Nondimeno si vede e si ammira negli uomini di campagna una somma difficoltà (non solo di conservare lungo tempo il dolore, che questa è propria naturalmente delle passioni veementissime) ma anche di concepirlo, e sentirlo vivamente, e togliersi dal loro stato di abituale insensibilità. Preparano i funerali delle loro mogli o figli, gli accompagnano alla chiesa, assistono alla loro sepoltura, ridono un momento dopo, ne parlano con indifferenza, di rado spargono qualche lacrima, benchè se il dolore talvolta li coglie, esso sia tale qual dev'essere in persone poco lontane dalla natura. Nè solo gli uomini di campagna, ma tutti coloro che appartengono alle classi indigenti o laboriose ec. dimostrano gli stessi effetti. Ciò manifesta la misericordia della natura, e dimostra che ella ha sibbene dato agli uomini naturali, vivissimi e frequentissimi {e facilissimi} piaceri, ma contuttochè gli abbia resi {conseguentemente} soggetti alla veemenza straordinaria  1678 del dolore, non però, come parrebbe che dovesse essere, gli ha assoggettati alla frequenza, nemmeno di un dolor moderato, e quale si prova sì spesso dagli uomini civili. Parte la rozzezza del loro cuore, e il nessuno sviluppo (o piuttosto analoga modificazione) delle facoltà produttrici del dolore, della sensibilità ec.; parte la continua e viva distrazione prodotta nell'uomo naturale da' bisogni, dalle fatiche, ec. ec. l'assuefazione a certe sofferenze ec. li preserva dalla facilità di addolorarsi, gli addomestica alle disgrazie della vita, li rende più disposti a godere che a soffrire, facili a dimenticare il male, incapaci di sentirlo profondamente, se non di rado ec. Anche gli uomini civili, abitualmente, o straordinariamente occupatissimi, sono nello stesso caso. Così pure gli uomini avvezzi alle disgrazie ec. ec. (11. Sett. 1821.).