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22. Sett. 1821.

[1768,1]  Ho lodato l'italia appetto alla Francia pp. 343-45 pp. 1243-44 perchè non ha rinunziato alla sua lingua antica, ed ha voluto ch'ella fosse composta di cinque secoli, in vece di un solo. Ma la biasimerei sommamente se per conservare l'antica intendesse di rinunziare alla moderna, mentre se l'antica è utile, questa è necessaria; e molto più se in luogo di compor la sua lingua di 5 secoli, la componesse come i francesi di un solo, ma non di quello che parla (il che alla fine è comportabile), bensì di quello che  1769 parlò quattro secoli fa: ovvero anche se la volesse comporre de' soli secoli passati, escludendo questo, il quale finalmente è l'unico che per essenza delle cose non si possa escludere. Certo è lodevole che non si sradichi la pianta, conservando i germogli, e trapiantandoli, ma perchè s'ha da conservare il solo tronco spogliandolo de' germogli, delle foglie, de' rami; anzi la sola radice tagliando il tronco, e guardando bene che non torni a crescere, e che le radici se ne stieno senza produr nulla? E sarebbe ben ridicolo che conservando sulla nostra favella l'autorità agli antichi che più non parlano, la si volesse levare a noi che parliamo: e sarebbe questa la prima volta che le cose de' vivi fossero proprietà intera de' morti. {+Sarebbe veramente assurdo che mentre una parola {o frase} superflua nuovamente trovata in uno scrittore antico, si può sempre incontrastabilmente usare quanto alla purità, una parola o frase utile o necessaria, e che del resto abbia tutti i numeri, nuovamente introdotta da un moderno, non si possa usare senza impurità.} Anzi quanto più la nostra lingua è diligente nel non voler perdere (cosa ottima), tanto più per necessaria conseguenza, dev'essere industriosa nel guadagnare, per non somigliarsi al pazzo avaro che {+per amor del danaio} non mette a frutto il danajo, ma  1770 si contenta di non perderlo, e guardarlo senza pericoli. (22. Sett. 1821.).