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[1000,1]  Osservo ancora che Giuseppe Ebreo avendo scritto primieramente i suoi libri della Guerra Giudaica nella lingua sua patria, (qualunque fosse questa lingua, o l'Ebraica, come crede l'Ittigio, (nel Giosef. dell'Havercamp, t. 2. appendice. p. 80. colonna 2.) o la Sirocaldaica, come altri, (v. Basnag. Exercit. ad Baron. p. 388. Fabric. 3. 230. not. p)) in uso, com'egli dice, de' barbari dell'Asia superiore, cioè, com'egli stesso spiega (de Bello Iud. Proem. art. 2. edit. Haverc. {t. 2.} p. 48.) de' Parti, de' Babilonesi, degli Arabi più lontani dal mare, de' Giudei di là dall'Eufrate, e degli Adiabeni; (Fabric. l. c. Gioseffo l. c. p. 47. not. h.) volendo poi, com'egli dice, accomodarla all'uso de' sudditi dell'imperio  1001 Romano, τοῖς κατὰ τὴν ῾Pωμαίων ἡγεμονίαν * , {e scrivendo in Roma,} giudicò, come pur dice, {(Fabric. 3. 229. fine e 231. principio.)} e come fece, di traslatarla {(non in latino)} in greco, ῾Eλλάδι γλώσσῃ μεταβαλεῖν * . (Idem, l. c. art. 1. p. 47.) E così traslatata la presentò a Vespasiano e a Tito, Impp. Romani. (Ittigio l. c. {Fabric. 3. 231. lin. 8.} Tillemont, Empereurs t. 1. p. 582.) (30. Aprile. 1821.).