[2159,1] Lo stato di disperazione rassegnata, ch'è l'ultimo
passo dell'uomo sensibile, e il finale sepolcro della sua sensibilità, de' suoi
piaceri, e delle sue pene, è tanto mortale alla sensibilità, ed alla poesia
2160 (in tutti i sensi, ed estensione di questo
termine), che sebbene la sventura, e il sentimento attuale di lei, pare ed è
(escluso il detto stato) la più micidial cosa possile[possibile] alla poesia (nè solo la sventura attuale, ma anche
l'abituale, che deprime miseramente l'immaginazione, il sentimento, l'animo);
contuttociò se può succedere che nel detto stato, una nuova e forte sventura,
cagioni all'uomo qualche senso, quel punto, per una tal persona, è il più
adattato ch'egli possa mai sperare, alla forza dei concetti, al poetico,
all'eloquente dei pensieri, ai parti dell'immaginazione e del cuore, già fatti
infecondi. Il {nuovo} dolore in tal caso è come il
bottone di fuoco che restituisce qualche senso, qualche tratto di vita ai corpi
istupiditi. Il cuore dà qualche segno di vita, torna per un momento a sentir se
medesimo, giacchè la proprietà e l'impoetico della disperazione rassegnata
consiste appunto, nel non esser più
2161 visitato nè
risentito {neppur} dal dolore.