[2319,1] Ma il vedere che i latini poeti per costumanza
regolare, tanto che il contrario sarebbe stato irregolare (come in quel di Virgilio
fœmineo
ululatu
*
) elidevano costantemente l'ultime vocali delle parole
seguite da altre parole cominciãti[comincianti] per vocale, e ciò anche da un verso all'altro spesse
volte (come in Orazio
animumque moresque
Aureos educit in astra, nigroque
Invidet Orco
*
ec. e in Virg.
Georg. 2. 69. Inseritur vero et foetu nucis arbutus
horrida: Et
steriles platani
*
ec. ec.); e non solo le vocali,
ma anche le sillabe am, em, im, um; e sì le vocali che
queste sillabe le elidevano anche seguendo una parola cominciante per vocale
aspirata (come Virg.
Georg. 3. 9. Tollere
humo
*
: v. p. 2316.-17); e non solo elidevano una vocale, ma
anche più d'una ec. tutto ciò non dimostra evidentemente che l'indole della
pronunzia latina formava in fatti una sola sillaba delle vocali concorrenti?
Giacchè questo solo vuol dire eliderle:
non già ch'esse
2320 nella pronunzia si tacessero (ciò
forse avveniva alla sola m in simili casi); altrimenti
non le avrebbero scritte, ma posto in luogo loro l'apostrofo, come facevano i
greci quando le elidevano in verso o in prosa, che quando non ponevano
l'apostrofo in luogo loro, non le elidevano mai; e come gli stessi latini
ponevano l'apostrofo in luogo di quelle vocali o consonanti che non s'avevano
effettivamente da pronunziare, come aiu', Sisyphu',
confectu' ec. o non ponendo l'apostrofo, tralasciavano di scriver
quelle lettere che non s'avevano da pronunziare, come appunto la s in ain' per ais ne, ec. ec.