[2533,1] 1. La maggior fama degli scrittori del 500 fu a quei
tempi, come verseggiatori, e specialmente lirici, e questi ognun sa ch'erano
servili imitatori del Petrarca, e quindi
del 300, e si veda nell'Apologia del Caro, la misera presunzione ch'avevano di scrivere
come il Petrarca, e che non s'avessero a
usar parole o modi non usati da lui, come anche nelle prose volevano restringer
la lingua a quella sola del Boccaccio, e
siamo pur lì. Certo è, nè per chiunque è pratico dello spirito che governava la
repubblica nostra letteraria nel 500, è bisogno di molte parole a dimostrargli,
che l'apice della letteratura, e quello a cui nondimeno aspiravano
2534 tanto gl'infimi quanto i sommi, era la lirica
Petrarchesca, cioè 300istica, e non 500istica. E gli scrittori più grandi in
ogni altro genere o prosaico o poetico, divenivano famosi principalmente pe'
loro sonetti e canzoni petrarchesche che si divulgavano come un lampo per
l'italia, si trascrivevano subito, si domandavano,
erano il trattenimento delle Dame, e queste ne chiedevano ai letterati, e i
letterati se ne chiedevano scambievolmente, e ne ricevevano e restituivano con
proposte e risposte ec. E senza questi versi difficilmente s'arrivava alla
riputazion di letterato. Osservate, per non allontanarmi dall'esempio più volte
addotto, il Caro, le cui rime sono la
sola cosa che di lui non si legga più. Aveva il Caro grandissima fama, ma dalle sue lettere vedrete
che questa riposava essenzialmente e soprattutto nell'opinion ch'egli avea di
poeta (che nol fu mai), e
2535 tutto il restante suo
merito letterario, s'aveva in lui, come in tutti gli altri, per mero accessorio.
E fu stimato gran poeta, non già per l'Eneide,
{+ch'oggi s'ammira, e si
ristampa,} ch'è scritta in istile e lingua propria del suo tempo,
benchè abbellita al suo modo, e arricchita di latinismi. Questa fu opera postuma
e non levò molto grido nel 500. Il Caro fu creduto un sommo letterato perchè sapeva rimare alla
Petrarchesca, e giudicar di tali pretese poesie. E la sua famosa
Canzone fu strabocchevolmente ammirata (ed oggi non s'arriva
a poterla legger tutta) perchè si disse che il Petrarca non l'avrebbe scritta altrimenti. (Caro, Apolog. p.
18.). E chi non sa l'inferno che cagionò in
italia, e come nella disputa di quell'impiccio
petrarchesco ci prese parte tutta la nazion letterata, considerandola come affar
di tutta la letteratura? Fatto sta che le maravigliose prose del Caro, benchè stimate,
2536 non furono già ammirate nel 500 (quanto alla
lingua). Ed è certo che la lingua del Caro, come l'immaginazione e l'ingegno di Dante, son venute principalmente in onore, e riposte
nel sommo luogo che meritano, in questo e sulla fine del passato secolo. Il che,
di Dante, si vede anche fra gli
stranieri. E quanto a lui, ciò si deve al perfezionamento de' lumi, e del gusto,
e della filosofia, e della teoria dell'arti, e del sentimento del vero bello.
Quanto al Caro, ciò viene in gran
parte da circostanze materiali.