[2840,1] Tutto questo discorso sui poeti e scrittori
primitivi di una lingua, si deve intender di quelli che meritano veramente il
nome di poeti o di scrittori, e non di quei primissimi e rozzissimi, ne' quali
non cade sapore nè di familiarità nè d'eleganza, nè d'altra cosa alcuna
determinata e che si possa ben sentire, fuorchè d'insipidezza, non avendo essi
nè lingua, nè stile, nè maniera, nè carattere formato, sviluppato, costante e
uniforme. E il sopraddetto discorso ha massimamente luogo, e i sunnotati effetti
avvengono principalmente nel caso che sui principii di una letteratura
compariscano tali e così grandi ingegni che o la creino
2841 quasi in un tratto, o tanto innanzi la spingano dal luogo ove la
trovano, ch'essa paia poco meno che opera loro. Il qual caso avvenne alla
letteratura greca e alla italiana. {#1.
Anche gli antichi e primi scrittori
latini hanno sapore e modo tutto familiare, sì poeti, come Ennio e i tragici, di cui non
s'hanno che frammenti, Lucrezio
ec.; sì prosatori, come Catone,
Cincio ed altri cronichisti di
cui pur s'hanno frammenti, ec.} Perciocchè quando la letteratura si va
formando appoco appoco, e con tanta uniformità di progressi, che mai un suo
passo non sia fuor d'ogni proporzione cogli antecedenti, i summentovati effetti
sono manco notabili, e manco facili a vedere, trovandosi l'eleganza delle parole
e dei modi già {fatta} possibile {coll'abbondanza degli scrittori e l'arricchimento della lingua che dà luogo
alla scelta,} e la nazione già capace e colta e studiosa, prima che la
letteratura giunga a produr cosa alta e perfetta, e che un grande ingegno faccia
uso dell'una e dell'altra disposizione, cioè di quella della lingua, e di quella
de' suoi nazionali. (28. Giugno. 1823.). {{V. p. 3009.
3413.}}