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[3016,1]   3016 Resta dunque per allontanar dall'uso volgare le voci e frasi comuni, l'infletterle e condizionarle in maniere inusitate al presente, ma dagli antichi nazionali, parlatori, prosatori, o poeti usitate, e dalla nazione ancor conosciute, e conservate di mano in mano negli scritti di quelli che cercando l'eleganza proccurarono di scostarsi mediocremente dal volgo. Per le quali cose tali inflessioni non producono nè oscurità nè ricercatezza, benchè riescano pellegrine e rimote dall'uso, e perciò producano eleganza. Questo mezzo è usitatissimo da' poeti quando la nazione è colta, formata la letteratura, e quando la lingua scritta ha un'antichità. Con esso principalmente si forma, si compone, si stabilisce a grado a grado un linguaggio poetico che tuttavia più si va differenziando dal prosaico e dal familiare, finchè giunge a quel punto di differenza, oltre il quale non è bene ch'egli trapassi. Ma questo mezzo necessario all'eleganza, necessarissimo a potere avere o formare un linguaggio distintamente poetico e proprio della poesia, manca  3017 affatto ai primi scrittori e poeti di qualsivoglia nazione, i quali non trovano antichità di lingua scritta, non ponno se non debolmente, confusamente e scarsamente conoscere le antichità della lingua parlata, e conoscendole ancora, o in quanto le conoscono, non ponno se non molto parcamente adoperarla per non riuscire oscuri e affettati alla nazione ignorante, e non assuefatta ad altro linguaggio {nazionale mai se non solo} al suo corrente e giornaliero. Quindi è che quei primi poeti e e scrittori debbono necessariamente rivolgersi al linguaggio per la più parte, e in genere, familiare, e conseguentemente eziandio pigliare un[uno] stile che sappia sempre più o meno di familiare, in qualsivoglia materia ch'ei trattino e genere di scrittura ch'egli esercitino. (23. Luglio 1823.).