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[32,4]  È osservabile che Celso nel quale è singolarmente notata (e lodata) la semplicità e facilità dello stile per le quali si sarà discostato meno degli altri dal latino volgare, sono frequentissime e moltissime frasi {costruzioni, usi di parole, locuzioni ec. ed anche parole assolutamente} o prette italiane o che si accostano alle italiane io dico di quelle che comunemente non s'hanno per derivate dal latino nè per comuni alle due lingue ma proprie della nostra, e ove trovandole non presso Celso ma presso qualche scrittore latino moderno, le stimeressimo poco meno che barbarismi, anche presentemente, cioè non ostante che in effetto si trovino appresso Celso {eccetto se non ci ricordassimo espressamente, o ci fosse citata l'autorità di lui.} Per es. dice nel libro 1. Capo 3. dopo il mezzo: interdum valetudinis causa recte fieri, experimentis credo; cum eo tamen ne quis qui valere et senescere volet, hoc quotidianum habeat. * (Con questo però che ec. cioè, purchè locuzione pretta italiana.) E nel Lib. 2. c. 8. circa il fine: Quos lienis male habet, si tormina prehenderunt, deinde versa sunt vel in aquam inter cutem, vel in intestinorum lęvitatem[laevitatem], vix ulla medicina periculo subtrahit * . Si trova però frase simile cioè prehendo in significato di cogliere, ma presso i Comici latini. E parimente l. 2. c. 11. nel fine: huc potius confugiendum est, cum eo tamen ut sciamus, hic ut nullum periculum, ita levius auxilium esse * . E c. 17. alquanto sopra il mezzo: recte medicina ista tentatur, cum eo tamen ne pręcordia[praecordia] dura sint, neve * , etc. e lib. 3. C. 5. sul fine: scire licet... satius esse consistente jam incremento febris aliquid offerre, quam increscente..., cum eo tamen ut nullo tempore is qui deficit non sit sustinendus * . {Così c. 22. mezzo e c. 24. fine e l. 4. c. 6.} E c. 6. dopo il mezzo: In vicem ejus dari potest vel intrita ex aqua ec. * (in vece di questa.) e così altrove usa questa stessa frase, e nota che qui non vuol dire alternativamente, ma  33 assolutamente in vece, {cioè} escluso l'altro cibo ec. L'altro luogo dove l'usa è lib. 4. c. 6. nello stesso modo assoluto. E Lib. 4. c. 2. fine: Post quę[quae] vix fieri potest ut idem incommodum maneat * . (semplicemente come noi diciamo incomodo per piccola malattia.) E c. 22: quod fere post longos morbos vis pestifera huc se inclinat, quę[quae] ut alias partes liberat, sic hanc ipsam (nimirum coxas) quoque affectam prehendit * . E. c. 28. del Lib. 5. sect. 17. nam et rubet (impetiginis {genus I.um}) et durior est, et exulcerata est, et rodit * . (come diciamo noi {volgarmente talvolta neutro e spesso anche impersonale,} per prurire) E così ivi poco dopo: xml:lang="la">squamulę[squamulae] ex summa cute discedunt, rosio major est * . E poco dopo di un altro genere d'impetigine dice: in summa cute finditur, et vehementius rodit * . Dove s'ingannerebbe chi credesse che Celso volesse per rodere intendere lo stesso che erodere, poichè 1. egli usa sempre questo secondo quando si tratta di significare corrosione, 2. negli esempi che addurrò dove si vede il passivo di rodere, l'accompagnamento delle altre parole, mostra che non si tratta di corrosione ma di prurito; e dice dunque ib. sect. seguente di un altro male simigliante: in quo per minimas pustulas cutis exasperatur et rubet leviterque roditur: * e poco sotto: di un altro genere del sopraddetto male: in quo similiter quidem, sed magis cutis exasperaturque exulceraturque ac vehementius et roditur et rubet et interdum etiam pilos remittit * , 3. nella sezione precedente la 17. dice della scabbia {o} rogna per tutta definizione queste parole: Scabies vero est durior cutis, rubicunda; ex qua pustulę[pustulae] oriuntur, quędam[quaedam] humidiores, quędam[quaedam] sicciores. Exit ex quibusdam sanies, fitque ex his continuata exulceratio pruriens, serpitque in quibusdam cito. Atque in aliis quidem ex toto desinit, in aliis vero certo tempore anni revertitur. Quo asperior est, quoque prurit magis, eo difficilius tollitur. Itaque eam quę[quae] talis est, ἀγρίαν id est feram Gręci[Graeci] appellant * . Poi passa ai rimedi che sbriga in poche righe senza far altro motto della natura del male. Ora nella sezione seguente dice del primo genere d'impetigine, che similitudine scabiem repręsentat[repraesentat], nam et rubet etc. * come sopra; dove egli ha la mira a quello che ha detto di sopra della scabbia com'è evidente: ma ch'ella sia rossa, dura, esulcerata l'ha detto come io ho notato con lineette, che corroda non l'ha detto punto: ora come sarà simile alla scabbia la impetigine nam rodit, perchè rode? Bensì ha detto che la scabbia prurit, e questo segno sostanziale mancherebbe alla impetigine se il rodit non si prendesse in questo senso, che d'altronde non si può prendere per corrodere. V. se il Forcellini o l'Appendice ha nulla di rodere in significato di prurire. {+Non ha niente, e però questo significato è nuovo e da aggiungersi ai vocabolari latini, cioè rodere per prurire. (non è neutro però giacchè n'abbiamo veduto il passivo, quantunque si potrebbe disputare pro e contra. Nota ancora che rodere per erodere è bensì raro, appo Celso, pur si trova l. 7. c. 2. verso il fine. Nel lib. 7 c. 23. c'è il vocabolo rosio che non ha significato chiaro e si può spiegare in un modo e nell'altro, sebbene appena si può prendere anzi non si può per l'azione del corrodere, ma per il senso di ciò, vale a dire di un prurito veemente: fereque a {die} tertio spumans bilis alvo cum rosione redditur * . E questo mi pare anzi il significato suo certo in questo luogo, come apparisce dal contesto, dove nè prima nè dopo non si parla punto nè d'effetti nè di rimedi o altro analogo a corrosione. Rodere si trova anche in significato dubbio 3. volte nel l. 7. c. 26. sect. 4. circa il fine e c. 27. dopo il mezzo.} E lib. 6. c. 1. fine: Si parum per hęc[haec] proficitur, vehementioribus uti licet, cum eo ut sciamus, (senza il tamen) utique in recenti vitio id inutile esse * . E ib. c. 18. sect. 7.  34 Si quidquid lęsum[laesum] est, extra est, neque intus reconditum, eodem medicamento tinctum linamentum superdandum est, et quidquid ante adhibuimus cerato contegendum. In hoc autem casu neque acribus cibis utendum neque asperis nec alvum comprimentibus * . Così altrove spesso, in primo casu, in eo casu ec. come noi diciamo: in questo caso, nel primo caso ec. E lib. 7. c. 2. dopo il mezzo: Semper autem ubi scalpellus admovetur, id agendum est ut et quam minimę[minimae] et quam paucissimae plagae sint, cum eo tamen ut necessitati succurramus et in modo et in numero * . E c. 7. sect. 7. At quibus id in angulo est, potest adhiberi curatio, cum eo ne (senza il tamen) ignotum sit esse difficilem * . E c. 16. quia et rumpi facilius motu ventris potest, et non aeque magnis inflammationibus pars ea (venter), exposita est * . E c. 22. adurendus est tenuibus et acutis ferramentis quę[quae] ipsis venis infigantur, cum eo ne amplius quam has urant * (senza il tamen) E c. 27. circa il mezzo: Sub quibus perveniri ad sanitatem potest, cum eo tamen quod non * (nota il quod non in vece del ne ch'è anche più conforme alla frase italiana) ignoremus, orto cancro sępe[saepe] affici stomachum. * (l'edizione di cui mi servo non ha la virgola dopo orto cancro quantunque abbondantissima nell'interpunzione) E lib. 8. c. 10. sect. 7. ab init. Quibus periculis etiam magis id expositum quod juxta ipsos articulos ictum est * . In somma tutta la struttura della prosa di Celso è tale che accostandosi infinitamente per la maniera il giro la costruzione la frase i modi e le parole alla italiana, dà a conoscere più che forse qualunque altra prosa latina dei buoni secoli, anche a chi non lo sapesse per altra parte, che la lingua italiana deriva dalla latina. Onde non dubito che questa prosa non si accostasse ancora e non fosse presa in grandissima parte quanto al modo, e anche in qualche parte rispetto alle parole, dal volgare di Roma, o latino