[3475,1] È cosa osservata che le antiche opere classiche, non
solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono
avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur
mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. Il che non solo non
accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la
traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto
vagliono quanto nella originale. I pensieri di Cicerone non sono certo così comuni, come quelli de' sopraddetti ec.,
nè furono de' più
3476 comuni al suo tempo, massime
tra' romani. Nondimanco io peno a credere ch'altri possa tollerar di leggere
sino al fine (o far ciò senza noia) qualunque è più concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua.
Che vuol dir ciò, {+che vuol dir questa
differenza di condizione tra l'antiche e le moderne opere, tradotte ch'elle
sieno,} se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il
più son parole e stile, tolte o cangiate le quali cose, non resta quasi nulla, e
le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le più
ordinarie, le più trite, le più popolari cose del mondo. Veramente i pensieri
degli antichi, più o meno, son persone del volgo: detratta la veste, se le loro
forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto
occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l'occhio a contemplarle,
anzi neppure a guardarle, nulla insomma nè di singolare nè di pregevole. Nelle
opere moderne all'opposto tutto è pensieri e persona; stile nulla; vesti così
dozzinali che più non potrebbero essere. {+E perciò appunto è necessario che le opere classiche
antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio cioè quello
dello stile, perchè i moderni non hanno di gran lunga l'arte dello stile che
gli antichi ebbero nè possono nelle loro tradizioni conservare ad esse opere
il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson
lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse
opere dalle più volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche
ec.} So che la volgarità de' pensieri negli antichi, da molti è
considerata come relativa a noi, che sappiam tanto di più; ma
3477 io dico che si fa torto all'antichità, allo spirito e alla
ragione umana universale, se non si crede che questa volgarità, almen quanto a
grandissima parte d'essi pensieri, non sia assoluta, o non fosse volgarità anche
al tempo degli scrittori che gli esposero. (19. Sett. 1823.).