[4107,1] Questo medesimo effetto che produce la infelicità,
lo produce, come ho detto, l'abito di non provare o non vedersi d'innanzi alcuna
apparenza di felicità, alcun dolce futuro, alcun piacere grande o piccolo,
alcuna fortuna della giornata o durevole, alcuna carezza e lusinga degli uomini
o delle cose. L'amor proprio non mai lusingato, si distacca inevitabilmente
dalle cose e dagli uomini (fosse pur sommamente filantropo e tenero), e l'uomo
abituandosi a non veder nella vita e nel mondo nulla per se, si abitua a non
interessarvisi, e tutto divenendogli indifferente, il più gran genio diventa
sterile e incapace anche di quello di cui sono capacissimi gli animi per natura
più poveri, infecondi, secchi ed inetti. (29. Giugno. Festa di S. Pietro.
giorno mio natalizio. 1824.). Il che sempre più privandolo d'ogni
illusione e successo dell'amor proprio, sempre più conferma in lui l'abito di
noncuranza, e {d'}inettitudine e spiacevolezza. Trista
condizione del genio, tanto più facile a cadere in questo stato (che certo
4108 non è strettamente proprio se non di lui), quanto
da principio il suo amor proprio è più vivo, e quindi più avido e bisognoso di
lusinghe e piaceri e speranze, meno facile ad apprezzare e soddisfarsi di quelle
e quelli che agli altri bastano, e più sensibile alle offese e punture che i
volgari non sentono. (29. Giugno. Festa di S. Pietro. dì mio natalizio.
1824.). {{V. p.
4109.}}