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[469,1]  È osservabile che Senofonte in quest'altra opera riesce minor di se stesso, perchè si sforza d'imitar Tucidide, e ciò servilmente, volendo che il suo stile non si distinguesse da quello di Tucidide, e le due opere sembrassero tutt'una. E tanto peggio, quanto lo stile di Tucidide è quasi l'opposto di quello ch'era proprio di Senofonte. Infatti chi ha un poco di criterio, può facilmente notare nei libri τῶν Ἑλληνικ.[Ἑλληνικῶν] una brevità forzata, una differenza sensibile dallo stile delle altre opere Senofontee, uno studio impotente di esser efficace, rapido, forte ec. Cosa contraria all'indole di Senofonte: e v. Cic. nei testimoni de Xenophonte ec. e Dionigi Alicarnasseo parimente nelle testimonianze de Xenophonte. Anzi nelle stesse frasi, parole, modi, insomma nell'esterno e materiale dello stile, Senofonte abbandona spesso il suo costume per seguir quello di Tucidide, così che anche l'esteriore dello stile riesce alquanto nuovo a chi ha l'orecchio assuefatto alle altre opere di Senofonte. Fino nell'ortografia, Senofonte volendo assomigliarsi a Tucidide, scrive (contro quello che suole nelle altre  470 opere) ξύν per σύν, e così nei composti dov'entra questa preposizione: consuetudine ch'io credo familiare a Tucidide. (2. Gen. 1821.)