[616,1] Ed è anche una cagione del detto effetto, quella ch'io
son per dire. L'uomo che sebbene disperato, non perciò si odia (cosa che avviene
per
617 lo più, non mica, come parrebbe, prima che
l'uomo cominci ad odiarsi, ma dopo che si è sommamente, ed inutilmente odiato, e
così l'amor proprio, tentato ogni mezzo di soddisfarsi, resta del tutto
mortificato, e l'animo esaurito d'ogni forza, si riduce alla calma, e alla
quiete dello spossamento, e perde affatto la capacità di ogni sentimento vivo)
l'uomo dico il quale senza odiarsi, solamente considera se stesso, e la vita sua
come inutile, prova una compiacenza {e soddisfazione,}
una (ma leggerissima) consolazione, nel trovar dove adoprare se stesso e la
vita, che altrimenti non servirebbe più a nulla; e l'uso qualunque di se stesso
e della vita, gittata già come cosa inutilissima, sebbene a lui non giovi nulla,
sebbene egli non sia più capace d'illusioni, nè di credersi buono a gran cose;
tuttavia lo conforta, rappresentandolo a se stesso, come alquanto meno inutile;
o se non altro (e piuttosto) col pensiero di avere almeno adoprato, e non
gittato affatto, quell'avanzo di esistenza, e di forza viva e materiale.
(5. Feb. 1821.).
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