[860,1] Del resto la lingua latina scritta ne' primi veri e
formati classici di essa, fu ridotta a tale artifizio, {squisitezza,} tortuosità, intrecciatura, composizione, lavoro,
circuito, tessitura di periodi, {obliquità di costruzione
ec.;} acquistò subito così stretta proprietà di modi, di frasi, di
voci, proprietà inviolabile senza offesa formale della lingua; tanto precisa
distinzione nell'uso de' suoi sinonimi, ossia delle innumerabili voci destinate
alla significazione delle nuances di uno stesso
oggetto; che quella lingua contenne il più di eleganza arbitraria che mai si
vedesse, fu opera espressa dello scrittore più che qualunque altra; abbisognò di
sì
861 profonda, {sottile,}
minuta, esatta, e determinata cognizione non solo della sua indole, ma di
ciascun modo, frase, parola, a volerla trattare senza offendere la sua sì
propria e individuale e arbitraria altrettanto che definita proprietà; che
allontanandosi estremamente dal volgare, e formando subito due lingue separate,
cioè la scritta e la parlata, s'impossibilitò ancora, sì per questa, sì per
quelle ragioni, alla universalità. Alcuni scrittori latini, che anche nel tempo
della perfezionata loro lingua letterata, si accostarono un poco più degli altri
ai loro antichi scrittori, o al popolo, e conservarono maggiormente l'antico
carattere della lingua; si accostarono altresì più degli altri agli ottimi
greci, furono più semplici, più facili e piani, meno contorti e lavorati ec. e
si avvicinarono ancora al genio futuro della lingua italiana. Tali furono Cesare, Cornelio Nipote, e sopra tutti Celso, del quale vedi quello che ho notato altrove
pp. 32-35
862 della gran somiglianza che ha, sì col greco, sì
massimamente coll'italiano, tanto nell'andamento, come nelle minute forme,
frasi, voci. E dovunque si trova nei latini scrittori, un tantino di quel
candore e di quella grazia nativa, che non fu mai proprio della loro letteratura
(eccetto i primi e non perfetti scrittori); si trova altresì maggiore e notabile
somiglianza col carattere della lingua greca, e della nostra, e quindi anche del
volgare latino, da cui la nostra è derivata, e a cui non dubito che Celso non si accostasse notabilmente, e
più che ogni altro Classico conosciuto del secolo d'oro o d'argento. Tuttavia
anche in questi scrittori medesimi, si trova sempre un'aria di maggior coltura,
una lingua più lavorata, più nitida, meno semplice, meno piana e naturale che
quella degli ottimi greci, anzi in tal grado che non è possibile mai di
confonderli con questi. E certo {quel candore,} quella
nuda venustà de' greci, e anche
863 (ma quanto alla sola
lingua) de' nostri trecentisti, non fu mai propria della scrittura e letteratura
latina, se non forse della primitiva. E verisimilmente non la comportava il
carattere della nazione romana, assai più grave che graziosa, e quantunque
naturale e semplice anch'essa (come tutte le antiche, non ancora, o non del
tutto corrotte, e massime come tutte le nazioni libere e forti e grandi)
tuttavia, padrona piuttosto della natura, di quello che amante e vagheggiatrice,
come la nazione greca. (21-24. Marzo 1821.).