[88,1]
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Je vous l'ai dit
souvent, la douleur me tuerait; il y a trop de lutte en moi contre elle;
il faut lui céder pour n'en pas mourir
*
, dice Corinna presso la Staël liv. 14. ch. 3. t. 2. p. 361. dell'edizione
citata qui dietro. E da questo venia che gli antichi al carattere dei quali
l'autrice ha voluto ravvicinare quello di Corinna quanto era compatibile coi costumi e la filosofia moderna di
cui l'arricchisce a piena mano, erano vinti dall'infelicità in modo che
esprimevano la loro disperazione cogli atti e le azioni più terribili, e la
sventura li mandava fuori di se stessi, e gli uccideva. Quel se réposer sur sa
douleur
*
, quel piacere perfino provato dai moderni per la
stessa sventura e {per} la considerazione di essere
sventurato, era cosa ignota a quelli che secondo l'istinto della natura non
ancora del tutto alterata, correvano sempre dritto alla felicità, non come a un
fantasma, ma cosa reale, e trovavano il loro diletto dove la natura
primitivamente l'ha posto, cioè nella buona e non nella cattiva fortuna, la
quale quando loro sopravvenniva, la riguardavano come propria, non come
universale e inevitabile. Nè il desiderio della felicità era in essi temperato e
rintuzzato e illanguidito da nessuna considerazione e da nessuna filosofia.
Perciò tanto più formidabile era l'effetto di quanto impediva loro l'adempimento
di questo desiderio.