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[974,2]  Io non intendo con ciò di detrarre, anzi di aggiungere alla gloria di quei dottissimi e sommi letterati francesi che malgrado tutte le dette difficoltà, facendosi scala da una ad altra lingua, mediante lunghi, assidui, profondi studi delle altrui lingue e letterature, mediante i viaggi, le conversazioni ec. sono divenuti così padroni delle lingue e letterature straniere che hanno coltivate, ne hanno penetrato così bene il gusto ec. quanto mai possa fare uno straniero, e forse anche talvolta quanto possa fare un nazionale. (Cosa per altro rara, che, eccetto il Ginguené, non credo che si trovi autore francese, massime oggidì, che abbia saputo {o sappia} giudicare con verità della lingua e letteratura italiana: e così discorrete delle altre) E non ignoro quanto debbano massimamente le lingue e letterature orientali ai  975 dotti francesi di questo e del passato secolo. Ma questi tali dotti presenti o passati hanno parlato o parlano e più modestamente della lingua e letteratura loro, e più cautamente e con più riguardo delle altrui, siccome è costume naturale di chiunque {meglio e} maturamente ed intimamente conosce {ed intende.} (20-22. Aprile. Giorno di Pasqua. 1821). {{V. p. 978. capoverso 3.}}