Moda in questo secolo di parlare e studiar politica.
The fashion of our centiry to talk and study politics.
309,4 574-5[309,4] Il gusto decisamente di preferenza che ha questo
secolo per le materie politiche, è una conseguenza immediata e naturale, della
semplice diffusione dei lumi, ed estinzione dei pregiudizi. Perchè quando per
una parte non si pensa più colla mente altrui, e le opinioni non dipendono più
dalla tradizione,
310 per l'altra il sapere non è più
proprio solamente di pochi, i quali non potrebbero formare il gusto comune;
allora le considerazioni cadono necessariamente sopra le cose che c'interessano
più da vicino, più fortemente, più universalmente. L'uomo pregiudicato o
irriflessivo, segue l'abitudine, lascia andar le cose come vanno, e perchè vanno
e sono andate così, non pensa che possano andar meglio. Ma l'uomo spregiudicato
e avvezzo a riflettere, com'è possibile che essendo la politica in relazione
continua colla sua vita, non la renda l'oggetto principale delle sue
riflessioni, e per conseguenza del suo gusto? Nei secoli passati, come in quello
di Luigi 14. anche gli uomini abili, non
essendo nè spregiudicati, nè principalmente riflessivi, della politica
conservavano l'antica idea, cioè che stesse bene come stava, e toccasse a
pensarvi solamente a chi aveva in mano gli affari. Più tardi, gli uomini
spregiudicati non mancavano, ma eran pochi; pensavano e parlavano di politica,
ma il gusto non poteva essere universale. Aggiungete che i letterati {e i sapienti} per lo più vivono in una certa lontananza
dal mondo; perciò la politica non toccava il sapiente così dappresso, non gli
stava tanto avanti gli occhi, non era in tanta relazione
311 colla sua vita, come ora che tutto il mondo è sapiente, e le
cognizioni son proprie di tutte le classi. Del resto, sebbene la morale per se
stessa è più importante, e più strettamente in relazione con tutti, di quello
che sia la politica, contuttociò a considerarla bene, la morale è una scienza
puramente speculativa, in quanto è separata dalla politica: la vita, l'azione,
la pratica della morale, dipende dalla natura delle istituzioni sociali, e del
reggimento della nazione: ella è una scienza morta, se la politica non cospira
con lei, e non la fa regnare nella nazione. Parlate di morale quanto volete a un
popolo mal governato; la morale è un detto, e la politica un fatto: la vita
domestica, la società privata, qualunque cosa umana prende la sua forma dalla
natura generale dello stato pubblico di un popolo. Osservatelo nella differenza
tra la morale pratica degli antichi e de' moderni sì differentemente governati.
(9 Nov. 1820.). {{Oltracciò il comune è
bensì illuminato e riflessivo al dì d'oggi, ma non profondo, e sebbene la
politica domanda forse maggior profondità di lumi e di riflessioni che la
morale, contuttociò il suo aspetto e superficie offre un campo più facile
agl'intelletti volgari, e generalmente la politica si presta
312 davantaggio ai sogni alle chimere alle
fanciullaggini. Finalmente il volgo preferisce il brillante e il vasto al
solido {ed} utile, ma in certo modo più ristretto e
meno nobile, perchè la morale spetta all'individuo, e la politica alla
nazione e al mondo. E la superbia degli uomini è lusingata dal parlare e
discutere i pubblici interessi, dall'esaminare e criticare quelli che gli
amministrano ec. e il volgare si crede capace e degno del comando, allorchè
parla della maniera di comandare.}}
[574,1] Il mondo ha marcito appresso a poco in questo stato
dal principio dell'impero romano, fino al nostro secolo.
Nell'ultimo secolo, la filosofia, la cognizione delle cose, l'esperienza, lo
studio, l'esame delle storie, degli uomini, i confronti, i paralelli, il
commercio scambievole d'ogni sorta d'uomini, di nazioni, di costumi, le scienze
d'ogni qualità, le arti ec. ec. hanno fatto progressi tali, che tutto il mondo
rischiarato e istruito, si è rivolto a considerar se stesso, e lo stato suo, e
quindi principalmente
575 alla politica ch'è la parte
più interessante, più valevole, di maggiore e più generale influenza nelle cose
umane. Ecco finalmente che la filosofia, cioè la ragione umana, viene in campo
con tutte le sue forze, con tutto il suo possibile potere, i suoi possibili
mezzi, lumi, armi, e si pone alla grande impresa di supplire alla natura
perduta, rimediare ai mali che ne son derivati, e ricondurre quella felicità
ch'è sparita da secoli immemorabili insieme colla natura. Giacchè insomma la
felicità e non altro, è {o dev'esser} lo scopo di
questa nostra oramai perfetta ragione, in qualunque sua opera: come questo è lo
scopo di tutte le facoltà ed azioni umane.