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105. Imitazione de' greci nocque all'originalità della letteratura e poesia latina non meno che a quella dell'italiana l'imitazione de' latini e de' greci. Gran campo di originalità che avevano i romani. Qualità dello stile aggiunte o sostituite da' latini a quelle dello stile greco.

The imitation of the Greeks hurt the originality of Latin literature and poetry no less than the Italian was hurt by the imitation of the Latins and the Greeks. The great field of originality that the Romans had. Qualities added or substituted in the Greek style by the Latins.

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[54,1]   54 Quando la poesia per tanto tempo sconosciuta entrò nel Lazio e in Roma, che magnifico e immenso campo di soggetti se le aperse avanti gli occhi! Essa stessa già padrona del mondo, le sue infinite vicende passate, le speranze, ec. ec. ec. Argomenti d'infinito entusiasmo e da accendere la fantasia e 'l cuore di qualunque poeta anche straniero e postero, quanto più romano o latino, e contemporaneo o vicino proporzionatamente ai tempi di quelle gesta? Eppure non ci fu epopea latina che avesse per soggetto le cose latine così eccessivamente grandi e poetiche, eccetto quella d'Ennio che dovette essere una misera cosa. La prima voce della tromba epica che fu di Lucrezio, trattò di filosofia. In somma l'imitazione dei greci fu per questa parte mortifera alla poesia latina, come poi alla letteratura e poesia italiana nel suo vero principio, cioè nel 500. l'imitazione servile de' greci e latini. Onde con tanto immensa copia di fatti nazionali, cantavano, lasciati questi, i fatti greci, nè io credo che si trovi indicata tragedia d'Ennio o d'Accio {ec.} d'argomento {latino e} non greco. Cosa tanto dannosa, massime in quella somma abbondanza di gran cose nazionali, quanto ognuno può vedere. E lo vide ben Virgilio col suo gran giudizio, non però la schivò affatto anzi l'argomento suo fu pure in certo modo greco, (così le Buccoliche e le Georgiche di titolo e derivazione greca) oltre le tante imitazioni d'Omero ec. ma proccurò quanto più potè di tirarlo al nazionale, e spesso prese occasione di cantare ex professo i fatti di Roma. Similmente Orazio uomo però di poco valore in quanto poeta, fra tanti argomenti delle sue odi derivate dal greco, prese parecchie volte a celebrare le gesta romane. Ovidio nel suo gran poema {cioè le Metamorfosi} prese argomento tutto greco. Scrisse però i fasti di Roma ma era opera piuttosto da versificatore che da poeta, trattandosi di narrare le origini, s'io non erro, di quelle cerimonie feste ec. in somma non prese quei fatti a cantare, ma così, come a trastullarcisi. Del resto la letteratura latina si risentì bene dello stato di Roma colla magniloquenza che, si può dire, aggiunse alle altre proprietà dell'orazione ricevute da' greci, e a qualcune sostituì, qualità tutta propria de' latini, come nota l'Algarotti, colla nobiltà e la coltura dell'orazione del periodo ec. molto maggiore che non appresso gli antichi greci classici, eccetto, e forse neppure, Isocrate.

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