[1063,1] Il fanciullo è sempre franco e disinvolto, e perciò
pronto ed attissimo all'azione, quanto portano le forze naturali dell'età. Le
quali egli adopera in tutta la loro estensione. Se però non è alterato
dall'educazione, il che può succedere più presto o più tardi. E tutti notano che
la timidità, la diffidenza di se stesso, la vergogna, la difficoltà insomma di
operare, è segno di riflessione in un fanciullo. Ecco il bello effetto della
riflessione: impedir l'azione; la confidenza; l'uso di se stesso, e delle sue
forze; tanta parte di vita. Il giovanetto alterato
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dall'educazione è timido, legato, irresoluto, diffidentissimo di se stesso.
Bisogna che col frequente e lungo uso del mondo, egli ricuperi quella stessa
qualità che aveva già di natura, ed ebbe da fanciullo, cioè {l'abito di non riflettere, senza il quale è impossibile} la
franchezza, e la facoltà di usar di se stesso, secondo tutta la misura del suo
valore. E ciò si vede in tutti i casi della vita, e non già nelle sole occasioni
che abbisognano di coraggio, e che spettano a' pericoli corporali. Ma chi non ha
ricuperato fino a un certo punto l'abito di non riflettere, non val nulla nelle
conversazioni, non può nulla colle donne, nulla negli affari, e massime in
quelle circostanze che portano, dirò così, un certo pericolo, non fisico, ma
morale, e che abbisognano di franchezza e disinvoltura, e di una, dirò così,
intrepidezza sociale. Qualità impossibile a chi per abito riflette, e non può
deporre al bisogno la riflessione, e non può abbandonarsi, e lasciar fare a se
stesso, che sono le cose e più ricercate e pregiate, e più necessarie a chi vive
nella società, e generalmente in {quasi} ogni sorta e
parte di vita. E v. gli altri miei pensieri , sulla
impossibilità delle stesse azioni fisiche senza l'abito di non riflettere,
1065 abito che rispetto a queste azioni, avendolo tutti
da natura, pochi lo perdono, ma perduto, rende impossibili le operazioni più
materiali, e giornaliere, e naturali. (19. Maggio 1821.).