[1549,1] Bisogna però convenire che l'uomo moderno, così
tosto com'è pienamente disingannato, non solo può meglio comandare
all'immaginazione che al sentimento, il che avviene in ogni caso, ma anche è
meglio atto a immaginare che a sentire. Quando gli uomini sono ben conosciuti,
non è più possibile sentir niente per loro; ogni moto del cuore è languido, e
oltracciò s'estingue appena nato. L'affetto è incompatibile colla conoscenza
della malvagità dell'uomo, e della nullità
1550 delle
cose umane. L'uomo disingannato non ha più cuore, perchè i sentimenti ancorchè
destati da tutt'altro, hanno sempre relazione o vicina o lontana co' nostri
simili. E come può l'uomo riscaldarsi per cose di cui conosce o la perversità o
la total vanità. Sparito dagli occhi umani quel mondo umano, dove solo si poteva
esercitare il suo cuore; sparita l'idea della virtù, dell'eroismo ec. ec. ec. il
sentimento è distrutto. L'odio o la noia non sono affetti fecondi; poca
eloquenza somministrano, e poco o niente poetica. Ma la natura, e le cose
inanimate sono sempre le stesse. Non parlano all'uomo come prima: la scienza e
l'esperienza coprono la loro voce: ma pur nella solitudine, in mezzo alle
delizie della campagna, l'uomo stanco del mondo, dopo un certo tempo, può
tornare in relazione con loro benchè assai meno stretta e costante e sicura; può
tornare in qualche modo fanciullo, e rientrare in amicizia con esseri che non
l'hanno offeso, che non hanno altra colpa se non di essere stati esaminati, e
sviscerati troppo minutamente, e che anche secondo la scienza, hanno pur delle
intenzioni e de' fini benefici verso lui. Ecco un certo
1551 risorgimento dell'immaginazione, che nasce dal dimenticare che
l'uomo fa le piccolezze della natura, conosciute da lui colla scienza; laddove
le piccolezze, e le malvagità degli uomini, cioè de' suoi simili, non è quasi
possibile che le dimentichi. Egli stesso assai mutato da quel di prima, e
conosciuto da lui assai più intimamente di prima, egli stesso da cui non si può
nè allontanare nè separare, servirebbe a richiamargli l'idea della miseria,
della vanità, della tristizia umana. In questo stato l'uomo moderno è più atto
ad imitare Omero che Virgilio. (23. Agos. 1821.). {{V. p. 1556 fine.}}