[1673,1] L'uomo inesperto del mondo, come il giovane ec.
sopravvenuto da qualche disgrazia o corporale o qualunque, {dov'egli non abbia alcuna colpa,} non pensa neppure che ciò debba
essere agli altri, oggetto di riso sul suo conto, di fuggirlo, di spregiarlo,
1674 di odiarlo, di schernirlo. Anzi se egli
concepisce verun pensiero intorno agli altri, relativamente alla sua disgrazia,
non se ne promette altro che compassione, ed anche premura, o almen desiderio di
giovarlo; insomma non li considera se non come oggetti di consolazione e di
speranza per lui; tanto che talvolta arriva per questa parte a godere in certo
modo della sua sventura. Tale è il dettame della natura. Quanto è diverso il
fatto! Anche le persone le più sperimentate, ne' primi momenti di una disgrazia,
sono soggette a cadere in questo errore, e in questa speranza, almeno confusa e
lontana. Non par possibile all'uomo che una sventura non meritata gli debba
nuocere presso i suoi simili, nell'opinione, nell'affetto, ec. ma egli tien per
fermissimo tutto l'opposto; e s'egli è inesperto non si guarda di nascondere
agli altri (potendo) la sua disgrazia; anzi talvolta cerca di manifestarla:
laddove la principale arte di vivere consiste ordinariamente nel non confessar
mai di esser
1675 disgraziato, o di avere alcuno
svantaggio rispetto agli altri ec.
Memorie della mia vita.Compassione.Gioventù.Macchiavellismo di società.Necessità di nascondere i propri difetti e sventure;
impossibilità di trovarne compassione.