[167,1] Veniamo alla inclinazione dell'uomo all'infinito.
Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell'uomo una facoltà
immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui
le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell'uomo al piacere, è
naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni
della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza
immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli
infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che
non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale
derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia 1. che la
speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicità umana non possa
consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni. Quindi bisogna
considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura, che da una
parte non potendo spogliar l'uomo e nessun essere vivente, dell'amor del piacere
che è una conseguenza immediata e quasi tutt'uno coll'amor proprio e della
propria conservazione necessario alla sussistenza delle cose, dall'altra parte
non potendo fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire {1.} colle illusioni, e di queste è stata loro
liberalissima, {e bisogna considerarle come cose arbitrarie
in natura, la quale poteva ben farcene senza,} 2. coll'immensa varietà
168 acciocchè l'uomo stanco o disingannato di un
piacere ricorresse all'altro, o anche disingannato di tutti i piaceri fosse
distratto e confuso dalla gran varietà delle cose, ed anche non potesse così
facilmente stancarsi di un piacere, non avendo troppo tempo di fermarcisi, e di
lasciarlo logorare, e dall'altro canto non avesse troppo campo di riflettere
sulla incapacità di tutti i piaceri a soddisfarlo. Quindi deducete le solite
conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni in ordine alla
felicità. 1. L'immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità
umana. Quanto più questa regnerà nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice. Lo
vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l'ignoranza, almeno una
certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei
limiti e definizioni delle cose, circoscrive l'immaginazione. E osservate che la
facoltà immaginativa essendo spesse volte più grande negl'istruiti che
negl'ignoranti, non lo è in atto come in potenza, e perciò operando molto più
negl'ignoranti, li fa più felici di quelli che da natura avrebbero sortito una
fonte più copiosa di piaceri. E notate in secondo luogo che la natura ha voluto
che l'immaginazione non fosse considerata dall'uomo come tale, cioè non ha
voluto che l'uomo la considerasse come facoltà ingannatrice, ma la confondesse
colla facoltà conoscitrice, e perciò avesse i sogni dell'immaginazione per cose
reali e quindi fosse animato dall'immaginario come dal vero (anzi più, perchè
l'immaginario ha forze più naturali, e la natura è sempre superiore alla
ragione). Ma ora le persone istruite, quando anche sieno fecondissime
d'illusioni, le hanno per tali, e le seguono più per volontà che per
persuasione, al contrario degli antichi
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degl'ignoranti de' fanciulli e dell'ordine della natura. 2. Tutti i piaceri,
come tutti i dolori ec. essendo tanto grandi quanto si reputano, ne segue che in
proporzione della grandezza {e copia} delle illusioni
va la grandezza e copia de' piaceri, i quali sebbene neanche gli antichi li
trovassero infiniti, tuttavia li trovavano grandissimi, e capaci se non di
riempierli, almeno di trattenerli a bada. La natura non volea che sapessimo, e
l'uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare. Quindi e trovando
ciascun piacere molto più grande che noi non facciamo, e dandogli
coll'immaginazione un'estensione quasi illimitata, e passando di desiderio in
desiderio, colla speranza di piaceri maggiori e di un'intera soddisfazione,
conseguivano il fine voluto dalla natura, che è di vivere se non paghi
intieramente di quella tal vita, almeno contenti della vita in genere. Oltre la
detta varietà che li distraeva infinitamente, e li faceva passare rapidamente da
una cosa all'altra senz'aver tempo di conoscerla a fondo, nè di logorare il
piacere coll'assuefazione. 3. La speranza è infinita come il desiderio del
piacere, ed ha di più la forza se non di soddisfar l'uomo, almeno di riempierlo
di consolazione, e di mantenerlo in piena vita. La speranza propria dell'uomo,
degli antichi, fanciulli, ignoranti, è quasi annullata per il moderno sapiente.
V. il pensiero che incomincia Racconta, p. 162.