[169,1] Del resto il desiderio del piacere essendo
materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo ma in ogni
vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder subito i limiti
della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli scorge solamente da
presso. Quindi è manifesto 1. perchè tutti
170 i beni
paiano bellissimi {e sommi} da lontano, {e l'ignoto sia più bello del noto;} effetto della
immaginazione determinata[determinato] dalla
inclinazione della natura al piacere, effetto delle illusioni voluto dalla
natura. 2. perchè l'anima preferisca in poesia e da per tutto, il bello aereo,
le idee infinite. Stante la considerazione qui sopra detta, l'anima deve
naturalmente preferire agli altri quel piacere ch'ella non può abbracciare. Di
questo bello aereo, di queste idee abbondavano gli antichi, abbondano i {loro} poeti, massime il più antico cioè Omero, abbondano i fanciulli veramente
Omerici in questo, (v. il pensiero Circa l'immaginazione, p. 57. e l'altro p. 100.) gl'ignoranti ec. in somma la
natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce difficilissimo il
provarne. La malinconia, il sentimentale moderno ec. perciò appunto sono così
dolci, perchè immergono l'anima in un abbisso di pensieri indeterminati de'
quali non sa vedere il fondo nè i contorni. E questa pure è la cagione perchè
nell'amore ec. come ho detto p. 142.
Perchè in quel tempo l'anima si spazia in un vago e indefinito. Il tipo di
questo bello è[e] di queste idee non esiste nel
reale, ma solo nella immaginazione, e le illusioni sole ce le possono
rappresentare, nè la ragione ha verun potere di farlo. Ma la natura nostra n'era
fecondissima, e voleva che componessero la nostra vita. 3. perchè l'anima nostra
odi tutto quello che confina le sue sensazioni. L'anima cercando il piacere in
tutto, dove non lo trova, già non può esser soddisfatta. Dove lo trova, abborre
i confini per le sopraddette ragioni. Quindi vedendo la bella natura, ama che
l'occhio si spazi quanto è possibile. La qual cosa il Montesquieu
(Essai sur le goût, De la
curiosité. p. 374. 375.) attribuisce alla curiosità. Male.
La curiosità non è altro che una determinazione
171
dell'anima a desiderare quel tal piacere, secondo quello che dirò poi. Perciò
ella potrà esser la cagione immediata di questo effetto, (vale a dire che se
l'anima non provasse piacere nella vista della campagna ec. non desidererebbe
l'estensione di questa vista), ma non la primaria, nè questo effetto è speciale
e proprio solamente delle cose che appartengono alla curiosità, ma di tutte le
cose piacevoli, e perciò si può ben dire che la curiosità è cagione immediata
del piacere che si prova vedendo una campagna, ma non di quel desiderio che
questo piacere sia senza limiti. Eccetto in quanto ciascun desiderio di ciascun
piacere {può essere} illimitato e perpetuo nell'anima,
come il desiderio generale del piacere. Del rimanente alle volte l'anima
desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi
modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il
desiderio dell'infinito, perchè allora in luogo della vista, lavora
l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s'immagina quello
che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va
errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua
vista si estendesse da per tutto, perchè il reale escluderebbe l'immaginario.
Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il
cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano.
Al contrario la vastità e moltiplicità delle sensazioni diletta moltissimo
l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande ec. Non è questa la ragione.
Ma proviene da ciò, che la moltiplicità delle sensazioni, confonde l'anima,
172 gl'impedisce di vedere i confini di ciascheduna,
toglie l'esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare d'un piacere in un
altro senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo
a un piacere infinito. Parimente la vastità quando anche non sia moltiplice,
occupa nell'anima un più grande spazio, ed è più difficilmente esauribile. La
maraviglia similmente, rende l'anima attonita, l'occupa tutta e la rende
incapace in quel momento di desiderare. Oltre che la novità (inerente alla
maraviglia) è sempre grata all'anima, la cui maggior pena è la stanchezza dei
piaceri particolari.