[172,1] Da questa teoria del
piacere deducete che la grandezza anche delle cose non piacevoli per
se stesse, diviene un piacere per questo solo ch'è grandezza. E non attribuite
questa cosa alla grandezza immaginaria della nostra natura. Posta la detta
teoria, si viene a conoscere (quello ch'è veramente) che il desiderio del
piacere diviene una pena, e una specie {di travaglio}
abituale dell'anima. Quindi 1. un assopimento dell'anima è piacevole. I turchi
se lo proccurano coll'oppio, ed è grato all'anima perchè in quei momenti non è
affannata dal desiderio, perchè è come un riposo dal desiderio tormentoso, e
impossibile a soddisfar pienamente; {un intervallo come il
sonno nel quale se ben l'anima forse non lascia di pensare, tuttavia non se
n'avvede.} 2. la vita continuamente occupata è la più felice, quando
anche non sieno occupazioni e sensazioni vive, e varie. L'animo occupato è
distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace, o lo rivolge a
quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro {il
provvedere ai suoi bisogni ordinari ec.} ec. ec.) giacchè li considera
allora come piaceri (essendo piacere tutto quello che l'anima desidera), e
conseguitone uno, passa a un altro, così che è distratto da desideri maggiori, e
non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose, e la speranza
di quei
173 piccoli fini, e i {piccoli} disegni sulle occupazioni {avvenire} o sulle speranze di un esito {generale} lontano e desiderato, bastano a riempierlo, e a trattenerlo
nel tempo del suo riposo, il quale non è troppo lungo perchè sottentri la noia;
oltre che il riposo dalla fatica è un piacere per se. Questa dovea esser la vita
dell'uomo, ed era quella dei primitivi, ed è quella dei selvaggi, {degli agricoltori ec.} e gli animali non per altra
cagione se non per questa principalmente, vivono felici. Ed osservate come lo
spettacolo della vita occupata laboriosa e domestica, sembri anche oggidì, a chi
vive nel mondo, lo spettacolo della felicità, anche per la mancanza dei dolori,
e delle cure e afflizioni reali. 3. il maraviglioso, lo straordinario è
piacevole, quantunque la sua qualità particolare non appartenga a nessuna classe
delle cose piacevoli. L'anima prova sempre piacere quando è piena (purchè non
sia di dolore), e la distrazione viva ed intera è un piacere {rispetto a lei} assolutamente, come il riposo dalla fatica è piacere,
perchè una tal distrazione è riposo dal desiderio. E come è piacevole lo stupore
cagionato dall'oppio (anche relativamente alla dimenticanza dei mali positivi),
così quello cagionato dalla maraviglia, dalla novità, e dalla singolarità.
Quando anche la maraviglia non sia tanta che riempia l'anima, se non altro
l'occupa sempre fortemente, ed è piacevole per questa parte. Notate che la
natura aveva voluto che la maraviglia {1.} fosse cosa
ordinarissima all'uomo, 2. fosse {spessissimo} intera,
cioè capace di riempier tutta l'anima. Così accade ne' fanciulli, e accadeva ne'
primitivi, e ora negl'ignoranti, ma non può accadere senza l'ignoranza, e
l'ignoranza d'oggi non può mai esser come quella dell'uomo che non vive in
società, perchè vivendo in società,
174 l'esperienza de'
passati e de' presenti l'istruisce, più o meno, ma sempre l'istruisce, e la
novità diventa rara. 4. anche l'immagine del dolore e delle cose terribili ec. è
piacevole, come ne' drammi e poesie d'ogni sorta, spettacoli ec. Purchè l'uomo
non tema o non si dolga per se, la forza della distrazione gli è sempre
piacevole. Non è bisogno che quelle immagini siano di cose straordinarie: in
questo caso cadrebbero sotto la categoria precedente. Ma la semplice immagine
del dolore ec. è sufficiente a riempier l'animo e distrarlo. 5. la grandezza di
ogni qualsivoglia genere (eccetto del proprio {male}) è
piacevole. Naturalmente il grande occupa più spazio del piccolo, salvo se la
piccolezza è straordinaria, nel qual caso occupa più della grandezza ordinaria.
Questo ch'io dico della grandezza è un effetto materiale derivante dalla
inclinazione dell'uomo al piacere, e non dalla inclinazione alla grandezza. Si
potrebbe forse dir lo stesso del sublime, il quale è cosa diversa dal bello ch'è
piacevole all'uomo per se stesso. In somma la noia non è altro che una mancanza
del piacere che è l'elemento della nostra esistenza, e di cosa che ci distragga
dal desiderarlo. Se non fosse la tendenza imperiosa dell'uomo al piacere sotto
qualunque forma, la noia, quest'affezione tanto comune, tanto frequente, e tanto
abborrita non esisterebbe. E infatti per che motivo l'uomo dovrebbe sentirsi
male, quando non ha male nessuno? Poniamo un uomo isolato senza nessuna
occupazione spirituale o corporale, e senza nessuna cura o afflizione o dolor
positivo, o annoiato
175 dalla uniformità di una cosa
non penosa nè dispiacevole per sua natura, e ditemi per che motivo quest'uomo
deve soffrire. E pur vediamo che soffre, e si dispera, e preferirebbe qualunque
travaglio a quello stato. (Anzi è famosa la risposta affermativa data dai medici
consultati dal duca di Brancas, se la
noia potesse uccidere: Lady Morgan
France l. 8. notes) Non per altro se non per un
desiderio ingenito e compagno inseparabile dell'esistenza, che in quel tempo non
è soddisfatto, non ingannato, non mitigato, non addormentato. E la natura è
certo che ha provveduto in tutti i modi contro questo male, all'orrore e
ripugnanza del quale nell'uomo, si può paragonare quell'orrore del vuoto che gli
antichi fisici supponevano nella natura, per ispiegare alcuni effetti naturali.
Ha provveduto col dare all'uomo molti bisogni, e nella soddisfazione del bisogno
(come della fame e della sete, {freddo, caldo ec.})
porre il piacere, quindi col volerlo occupato; colla gran varietà, {colla immaginazione che l'occupa anche del nulla,} ed
anche col timore (il quale sebbene è un effetto naturale e spontaneo anch'esso
dell'amor proprio, tuttavia bisogna considerare il sistema della natura in
genere, e la mirabile armonia e corrispondenza di diversi effetti a questo o
quello scopo), coi pericoli i quali affezionano maggiormente alla vita, e
sciolgono la noia, {colle turbazioni degli elementi,}
coi dolori e coi mali istessi, perchè è più dolce il guarir dai mali, che il
vivere senza mali; {+e con tali altri
disastri, che si considerano come mali, e quasi difetti della natura,
scusandola col definirli per accidenti fuori dell'ordine; ma che forse
essendo tali ciascuno, non lo sono tutti insieme; ed appartengono anch'essi
al gran sistema universale.} In somma il sistema della natura rispetto
all'uomo è sempre diretto ad allontanar da lui questo male formidabile della
noia, che a detta di tutti i filosofi essendo così frequente all'uomo moderno, è
quasi sconosciuto al primitivo (e così agli animali). E osservate come i
fanciulli {anche} in una quasi perfetta inazione, pur
di rado o {non} mai sentano
176
il vero tormento della noia, perchè ogni minima bagattella basta ad occuparli
tutti interi, e la forza della loro immaginazione dà corpo e vita e azione ad
ogni fantasia che si affacci loro alla mente ec. e trovano in somma in se stessi
una sorgente inesauribile di occupazioni {e} sempre
varie. Questo senza cognizioni, senza esperienze, senza viaggi, senz'aver veduto
udito ec. in un mondo ristrettissimo {e uniforme.} E
laddove parrebbe che quanto più questo mondo e questo campo si accresce {e diversifica,} tanto più {ampio e
vario per} l'uomo dovesse essere il fondo delle occupazioni interne
come son quelle dei fanciulli, {e la noia tanto più
rara,} nondimeno vediamo accadere tutto il contrario. Gran lezione per
chi non vuol riconoscere la natura come sorgente quasi unica di felicità, e
l'alterazione di lei, come certa cagione d'infelicità. Del resto che la forza e
fecondità dell'immaginazione 1. come rende facilissima l'azione, così
spessissimo renda facile l'inazione, 2. sia cosa ben diversa dalla profondità
della mente, la quale per lo contrario conduce all'infelicità, è manifesto per
l'esempio de' popoli meridionali, segnatamente degl'italiani, rispetto ai
settentrionali. Giacchè gl'italiani {1.} come una volta
per il loro entusiasmo figlio di un'immaginazione viva e più ricca che profonda,
erano attivissimi, così ora una delle cagioni per cui non si accorgono o {almeno} non si disperano affatto di una vita sempre
uniforme, e di una perfetta inazione, è la stessa immaginazione ugualmente ricca
e varia, e la soprabbondanza delle sensazioni che ne deriva, la quale gl'immerge
senza che se n'avvedano in una specie di rêve, come i
fanciulli quando son soli ec. cosa continuamente inculcata dalla Staël, {laddove i
settentrionali non avendo tal sorgente di occupazione interna atta a
consolarli, per necessità ricorrono all'esterna, e divengono
attivissimi.} 2. la profondità della mente,
177 e la facoltà di penetrare nei più intimi recessi del vero dell'astratto ec.
quantunque non sia loro ignota a cagione della loro sottigliezza, {prontezza e penetrazione, (che rende loro più facile il
concepimento e la scoperta del vero, laddove agli altri bisogna più fatica,
e perciò spesso sbagliano con tutta la profondità)} contuttociò non è
il loro forte, e per lo contrario forma tutta l'occupazione e quindi
l'infelicità dei settentrionali colti (osservate perciò la frequenza de' suicidi
in inghilterra) i quali non hanno cosa che li distragga
dalla considerazione del vero. E quantunque paia che l'immaginazione anche
appresso loro sia caldissima originalissima ec. tuttavia quella è piuttosto
filosofia e profondità, che immaginazione, e la loro poesia piuttosto metafisica
che poesia, venendo più dal pensiero che dalle illusioni. {E
il loro sentimentale è piuttosto disperazione che consolazione.} E la
poesia antica perciò appunto non è stata mai fatta per loro; perciò appunto
hanno gusti tutti differenti, e si compiacciono degli {enti} allegorici, delle astrazioni ec. (V. p. 154.) perciò appunto sarà sempre vero che la
nostra è propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero.
(v. p. 143-144.)