[177,1] Dopo che la natura ha posto nell'uomo una inclinazione
illimitata al piacere, è rimasta libera di fare che questa o quella cosa fosse
considerata come piacere. Perciò le cagioni per cui una cosa è piacevole, sono
indipendenti dalla sovresposta teoria, dipendendo dall'arbitrio della natura il
determinare {in} qual cosa dovessero consistere i
piaceri, e conseguentemente quali particolari dovessero esser l'oggetto della
sopraddetta inclinazione dell'uomo. Esclusi quei piaceri che ho annoverati poco
sopra (p. 172. segg.), {i} quali sono piaceri, non perch'è piaciuto alla natura
di volerli tali indipendentemente dalla inclinazione dell'uomo al piacere, ma
solamente o principalmente per questo, che l'uomo desidera
178 illimitatamente il piacere. Del resto la virtù, i piaceri
corporali, quelli della curiosità (v. se
vuoi Montesquieu nel luogo
citato
{p. 170.} qui sopra) (giacchè, come ho detto,
per piacere intendo e vanno intese tutte le cose che l'uomo desidera) ec. ec.
sono piaceri perchè la natura ha voluto, e potevano non essere con tutta la
inclinazione dell'uomo al piacere, come l'idea {assoluta} che l'uomo ha della convenienza non è ragione perchè queste
o quelle cose gli paiano convenienti, e belle. E dei piaceri altri sono comuni,
altri particolari di questa o quella nazione, altri di questa o quella classe
d'uomini, come i piaceri appartenenti all'avarizia all'ambizione ec., altri
{anche} individuali, secondo le assuefazioni, le
opinioni, le costituzioni corporali, i climi ec. come l'idea rispettiva della
bellezza dipende dalle assuefazioni costumi opinioni ec. (v. Montesquieu
l. c. De la sensibilité. p. 392.) E la natura ha posto nell'uomo
diverse qualità delle quali altre si sviluppano necessariamente, altre o si
sviluppano o restano chiuse e inattive secondo le circostanze. E di queste
seconde altre la natura voleva, o non proibiva che si sviluppassero, altre non
voleva, e sviluppandosi, rendono l'uomo infelice. E la cagione per cui le ha
poste nell'uomo {non volendo che sviluppassero,} starà
nel sistema profondo della natura, e probabilmente si potrebbe scoprire, se non
ci fermassimo adesso sul generale. Secondo queste diverse qualità, l'uomo trova
piacevoli diverse cose, e l'uomo incivilito prova diversi piaceri dal primitivo,
e sentirà dei piaceri che il primitivo non provava, e non proverà molti di
quelli che il primitivo provava. E perciò dall'esserci ora piacevole una cosa il
cui piacere dipenda dal nostro eccessivo incivilimento, non deduciamo che questo
era voluto dalla natura. E se ora
179 p. e. l'eccessiva
curiosità del vero ci proccura molti piaceri quando arriviamo a conoscerlo, non
perciò dobbiamo stimare che la natura ci volesse così curiosi, nè che questi
piaceri sieno naturali, nè che l'uomo naturale ne avesse gran vaghezza, o non
sapesse benissimo contenersi in questo desiderio, nè per conseguenza che
l'infelicità dell'uomo fosse necessaria, e provenga dalla natura assoluta
dell'uomo, quando proviene dalla nostra rispettiva e corrotta. Perchè molte
circostanze che hanno sviluppato in noi questa o quella qualità non erano volute
dalla natura, e provengono dall'uomo e non da lei. Del resto atteso la detta
teoria de' piaceri particolari,
potrebbe anche essere che l'idea dell'infinito, {la
maraviglia} e qualcuna delle cose piacevoli che ho annoverate come
tali a cagione solamente dell'inclinazione nostra al piacere, fossero piacevoli
anche indipendentemente da questa; e la ragione fosse l'arbitrio della natura,
come negli altri piaceri. Mi sembra però che la ragione della loro piacevolezza
sia bastantemente spiegata nel modo che ho fatto, e che tutti i loro accidenti
possano cadere sotto quelle considerazioni.