[2247,2]
Alla p. 1124.
marg. Tutto quello che ho detto pp. 1151-53 della monosillabìa di tali vocali successive, quantunque
non connumerate fra' dittonghi, cresce di forza, se queste vocali doppie, triple
ec. sieno le stesse, cioè due e, due i ec. e massimamente se sono due i (l'esilissima lettera dell'alfabeto). Giacchè non solo i poeti
giambici, comici ec. ma gli epici, i lirici ec. consideravano spessissimo il
2248 doppio i come una sola
sillaba, secondochè si può vedere in Dii
Diis; anzi più spesso, cred'io, per una sola sillaba
che per due. Anzi lo scrivevano ancora con una sola lettera, e questo fu proprio
degli antichi, e seguitato poi da' poeti. V. il Forcell.
il Cellar.
l'Encyclop.
Grammaire, in I, o J.) Ora appunto il caso nostro ne'
preteriti della 4.ta è di un doppio i, il quale pure
cred'io che spesso troveremo e nelle antiche scritture latine e ne' poeti, e
scritto e computato per vocale semplice, ovvero per sillaba unica; e forse più
spesso così che altrimenti, cioè più spesso audi che
audii ec. Osservate che anche i nostri antichi
solevano scrivere udì, partì
per udii partii ec. {+I latini facevano similmente ed anche scrivevano semplice il doppio i di ii, iidem, iisdem, ec.
V. fra gli altri infiniti, Virg.
En. 2. 654. 3. 158. E quante volte troverete
ne' poeti o negli antichi prosatori audisse
audissem ec. ec. Ovvero p. e. petiisse trisillabo ec. Forse più spesso che
quadrisillabo.}