[235,1] Non è cosa tanto nemica della compassione quanto il
vedere uno sventurato che non è stato in niente migliorato, nè ha punto appreso
dalle lezioni della sventura, maestra {somma} della
vita. Perchè la prosperità {abbagliando e distraendo
l'intelletto, è madre e conservatrice} d'illusioni, e la sventura
dissipatrice degl'inganni, e introduttrice della ragione e della certezza del
nulla delle cose. E uno sventurato che non ha goccia di sentimento, che non
arriva a sublimare un istante l'anima sua colla considerazione dei mali, che non
ha acquistato nelle sue parole, almeno quando parla di se, niente di eloquenza e
di affetto, che non mostra una certa grandezza d'animo, non per disprezzare, ma
per nobilitare la sua sventura
236 quasi col sentimento
di esserne indegno, e di non lasciarsene abbattere senza una magnanima
compassione di se; uno sventurato che vi parla delle sue sventure, coll'amor
proprio il più basso, col dolore il più egoista, e vi fa capire che egli è tanto
afflitto del male che soffre, che voi non potreste mai arrivare (notate) ad
uguagliare l'afflizion sua colla vostra compassione (l'uomo veramente penetrato
di compassione si persuade che il paziente non sia più addolorato di lui, in
somma non fa differenza fra il paziente e se stesso, essendo pronto a tutto per
aiutarlo, e perciò non mette divario tra il dolore del paziente e il suo
proprio); questo sventurato non otterrà forse un'ombra di compassione, e il suo
male sarà dimenticato, appena saremo lontani da lui.