[2518,1] Finalmente non è ella cosa conosciutissima che alla
poesia non solo giova, ma è necessario il pellegrino delle parole delle frasi
delle forme (niente meno che delle idee), per fare il suo stile elegante e
distinto dalla prosa? Non lo dà per precetto Aristotele? (Caro, Apolog. p. 25.). Il
poetico della lingua non è quasi il medesimo che il pellegrino? O certo il
pellegrino non è una qualità poetica nella lingua, e non serve di sua natura a
poetichizzare il linguaggio e lo stile? Or ditemi se nelle poesie italiane
d'oggidì si può trovar cosa più
2519 prosaica delle
voci, {frasi ec.} forestiere? se più triviale, più
ordinaria, in somma più decisamente impoetica e più distruttiva dell'eleganza
del linguaggio, e in maggior contraddizione colla natura dello stil poetico?
Tanto che, riuscendo sempre le dette voci e maniere, inelegantissime nella
prosa, che pur è obbligata a minor eleganza, nella poesia riescono stomachevoli,
e la cambiano affatto di poesia in cattiva prosa, onde osserva il Perticari (De'
300isti), sebbene non con tutta verità, che il barbarismo insignorito
delle prose italiane, pur non mise piede nelle poesie, come non ci potesse esser
poesia con barbarismi. E questo perchè? essendo il pellegrino così proprio della
poesia, ch'ella non ne può far senza? Perchè, torno a dire, se non perchè tali
voci e frasi ec. forestiere, sono appunto le più volgari, giornaliere, correnti,
usuali voci e maniere della nostra favella presente? e quindi distruttive del
pellegrino? e se nuove nella scrittura o nella poesia, non
2520 nuove, anzi vecchie nell'uso volgare del discorso, e quindi
distruttive della novità ch'è l'uno de' principali pregi della lingua poetica?
Laonde oggi sono eleganti le poesie scritte nella pura lingua italiana, e spesso
anche in quella che una volta fu poco meno che trivialissima. Non per altro se
non perchè quanto più sono italiane, tanto più dette poesie ci riescono
pellegrine.