[3117,1] Come la stima, così la compassione verso il nimico,
ancorchè vinto e virtuoso era impropria di quei tempi. (Vedi quello che altrove
ho detto p. 2760
pp.
3108-109 in proposito d'un'azione d'Enea appo Virgilio, dopo
morto Pallante). Gli animi naturali
non provano nella vittoria altro piacere che quello della vendetta. La
compassione, anche generalmente parlando (cioè quella ancora che cade sulle
persone non inimiche) nasce bensì, come di sopra ho detto,
3118 dall'egoismo, ed è un piacere, ma non è già propria nè degli
animali nè degli uomini in natura, nè anche, se non di rado e scarsamente, degli
animi ancora quasi incolti (quali erano i più a' tempi eroici). Questo piacere
ha bisogno di una delicatezza e mobilità di sentimento o facoltà sensitiva, di
una raffinatezza e pieghevolezza di egoismo, per cui egli possa come un serpente
ripiegarsi fino ad applicarsi ad altri oggetti e persuadersi che tutta la sua
azione sia rivolta sopra di loro, benchè realmente essa riverberi tutta ed operi
in se stesso e a fine di se stesso, cioè nell'individuo che compatisce. Quindi è
che anche nei tempi moderni e civili la compassione non è propria se non degli
animi colti e dei naturalmente delicati e sensibili, cioè fini e vivi. Nelle
campagne dove gli uomini sono pur meno corrotti che nelle città, rara, e poco
intima e viva, e di poca efficacia e durata è la compassione. Ma lo spirito di
Omero era certamente
3119 vivissimo e mobilissimo, e il sentimento
delicatissimo e pieghevolissimo. Quindi egli provò il piacere della compassione,
lo trovò, qual egli è, sommamente poetico, perocch'egli, oltre alla dolcezza,
induce nell'animo un sentimento di propria nobiltà e singolarità che l'innalza e
l'aggrandisce a' suoi occhi, vero e proprio effetto della poesia. {Veggasi la p. 3167-8. e pagg. 3291-7.
} Volle dunque introdurlo nel suo poema, anzi farne l'uno de'
principali fini del medesimo, l'uno de' principali piaceri prodotti dalla sua
poesia. Volle accompagnar questo piacere e questo affetto con quello della
maraviglia, affetto appartenente all'immaginazione e non al cuore, che fino a
quel tempo era forse stato l'unico {+o il
principal} effetto della poesia. Volle che il suo poema operasse
continuamente del pari e sulla immaginazione e sul cuore, e dall'una e
dall'altra sua facoltà volle trarlo, cioè da quella d'immaginare e da quella di
sentire. Questo suo intento è manifestissimo
3120 nel
suo poema, più manifesto che appo gli altri poeti greci venuti a tempi più
colti, più eziandio che ne' tragici appo i quali il terrore e la maraviglia
prevalgono ordinariamente alla pietà, e spesso son soli, sempre tengono il primo
luogo. Vedesi apertamente che Omero si
compiace nelle scene compassionevoli, che se il soggetto e l'occasione gliene
offrono, egli immediatamente le accetta, che altre ne introduce a bella posta e
cercatamente (come l'abboccamento d'Ettore e Andromaca
{a introdurre} il quale, e non ad altro, è destinata e
ordinata quella improvvisa venuta d'Ettore in troia, nel maggior
fuoco della battaglia, e in tempo che può veramente parere inopportuno {intempestivo} e imprudente), e che nell'une e nell'altre
ei non trascorre, ma ci si ferma e ci si diletta, e raccoglie tutte le
circostanze che possono {eccitare e} accrescere la
compassione, e le sminuzza, e le rappresenta con grandissima arte e intelligenza
del cuore umano. E il soggetto di tutte
3121 queste
scene dove l'animo de' lettori è sommamente interessato non sono altri che
quegli stessi che Omero ha tolto a
deprimere, i nemici de' greci ch'egli ha preso ha[ad] esaltare. Nè pertanto egli s'astiene dal volere a ogni modo far
piangere sopra i troiani, e deplorare ai medesimi greci quelle sventure ch'essi
avevano cagionate, del che egli nel tempo stesso sommamente li celebra.