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[319,2]  Dice Quintiliano l. 10. c. 1. Quid ego commemorem Xenophontis iucunditatem illam inaffectatam, sed quam nulla possit affectatio consequi? * E certo ogni bellezza principale nelle arti e nello scrivere deriva dalla natura e non dall'affettazione o ricerca. Ora il traduttore necessariamente affetta, cioè si sforza di esprimere il carattere e lo stile altrui, e ripetere il detto di un altro alla maniera e gusto del medesimo. Quindi osservate quanto sia difficile una buona traduzione in genere di bella letteratura,  320 opera che dev'esser composta di proprietà che paiono discordanti e incompatibili e contraddittorie. E similmente l'anima e lo spirito e l'ingegno del traduttore. Massime quando il principale o uno de' principali pregi dell'originale consiste {appunto} nell'inaffettato, naturale e spontaneo, laddove il traduttore per natura sua non può essere spontaneo. Ma d'altra parte quest'affettazione che ho detto è così necessaria al traduttore, che quando i pregi dello stile non sieno il forte dell'originale, la traduzione inaffettata in quello che ho detto, si può chiamare un dimezzamento del testo, e quando essi pregi formino il principale interesse dell'opera, (come in buona parte degli antichi classici) la traduzione non è traduzione, ma come un'imitazione sofistica, una compilazione, un capo morto, o se non altro un'opera nuova. I francesi si sbrigano facilmente della detta difficoltà, perchè nelle traduzioni non affettano mai. Così non hanno traduzione veruna (e lasciateli pur vantare il Delille, e credere che possa mai essere un Virgilio), ma quasi relazioni del contenuto nelle opere straniere; ovvero opere originali composte de' pensieri altrui.