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Dice Quintiliano l. 10. c. 1. Quid ego commemorem
Xenophontis iucunditatem
illam inaffectatam, sed quam nulla possit affectatio
consequi?
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E certo ogni bellezza principale nelle arti e nello
scrivere deriva dalla natura e non dall'affettazione o ricerca. Ora il
traduttore necessariamente affetta, cioè si sforza di esprimere il carattere e
lo stile altrui, e ripetere il detto di un altro alla maniera e gusto del
medesimo. Quindi osservate quanto sia difficile una buona traduzione in genere
di bella letteratura,
320 opera che dev'esser composta
di proprietà che paiono discordanti e incompatibili e contraddittorie. E
similmente l'anima e lo spirito e l'ingegno del traduttore. Massime quando il
principale o uno de' principali pregi dell'originale consiste {appunto} nell'inaffettato, naturale e spontaneo, laddove
il traduttore per natura sua non può essere spontaneo. Ma d'altra parte
quest'affettazione che ho detto è così necessaria al traduttore, che quando i
pregi dello stile non sieno il forte dell'originale, la traduzione inaffettata
in quello che ho detto, si può chiamare un dimezzamento del testo, e quando essi
pregi formino il principale interesse dell'opera, (come in buona parte degli
antichi classici) la traduzione non è traduzione, ma come un'imitazione
sofistica, una compilazione, un capo morto, o se non altro un'opera nuova. I
francesi si sbrigano facilmente della detta difficoltà, perchè nelle traduzioni
non affettano mai. Così non hanno traduzione veruna (e lasciateli pur vantare il
Delille, e credere che possa mai
essere un Virgilio), ma quasi relazioni
del contenuto nelle opere straniere; ovvero opere originali composte de'
pensieri altrui.