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[326,1]  Dicono che la felicità dell'uomo non può consistere fuorchè nella verità. Così parrebbe, perchè qual felicità in una cosa che sia falsa? E come, se il mondo è diretto alla felicità, il vero non deve render felice? Eppure io dico che la felicità consiste nell'ignoranza del vero. E questo, appunto perchè il mondo è diretto alla felicità, e perchè la natura ha fatto l'uomo felice. Ora essa l'ha fatto anche ignorante, come gli altri animali. Dunque l'avrebbe fatto  327 infelice esso, e le altre creature; dunque l'uomo per se stesso sarebbe infelice (eppure le altre creature sono felici per se stesse); dunque sarebbero stati necessari moltissimi secoli perchè l'uomo acquistasse il complemento, anzi il principale dell'esistenza, ch'è la felicità (giacchè nemmeno ora siam giunti all'intiera cognizione del vero); dunque gli antichi sarebbero stati necessariamente infelici; dunque tutti i popoli non colti, parimente lo saranno anche oggidì; dunque noi pure necessariamente per quella parte che ci manca della cognizione del vero. Laddove tutti gli esseri (parlo dei generi e non degl'individui) sono usciti perfetti nel loro genere dalle mani della natura. E la perfezione consiste nella felicità quanto all'individuo, e nella retta corrispondenza all'ordine delle cose, quanto al rimanente. Ma noi consideriamo quest'ordine in un modo, e la natura in un altro. Noi in un modo con cui l'ignoranza è incompatibile: la natura in un modo col quale è incompatibile la scienza. E se la natura ha voluto incontrastabilmente la felicità degli esseri, perchè, supponendo che l'abbia posta riguardo all'uomo nella cognizione del vero, ha nascosto questo vero così gelosamente che secoli e secoli non bastano a discoprirlo?  328 Non sarebbe questo un vizio organico, fondamentale, radicale, e una contraddizione nel suo sistema? Come ha reso così difficile il solo mezzo di ottener quello ch'ella voleva soprattutto, e si prefiggeva per fine, cioè la felicità? e la felicità dell'uomo il quale tiene evidentemente il primo rango nell'ordine delle cose di quaggiù? Come ha ripugnato con ogni sorta di ostacoli a quello ch'ella cercava? Ma l'uomo dovea ben tenere il primo rango, e lo terrebbe anche in quello stato naturale che noi consideriamo come brutale; non però dovea mettersi in un altr'ordine di cose, e considerarsi come appartenente ad un'altra categoria, e porre la sua dignità, non nel primeggiare tra gli esseri, come avrebbe sempre fatto, ma nel collocarsi assolutamente fuori della loro sfera, e regolarsi con leggi apparte, e indipendenti dalle leggi universali della natura. (14. Nov. 1820.).

380,1Della natura degli uomini e delle cose.Civiltà. Incivilimento.Scienza e Ignoranza.