[3653,1] Ed in verità, ragionando anche astrattamente, non vi
par egli assurdo, e fuor d'ogni verisimiglianza, e d'ogni proporzione o
convenienza o similitudine con quello che in tutte l'altre cose veggiamo, che la
natura abbia destinato una medesima e identica specie d'animali a nascere e
vivere e prosperare indifferentemente in tante e così immense diversità di climi
e di qualità di paesi, quante si trovano in questa terra, quanta è quella (per
considerare una sola di tali infinite diversità, cioè quella del caldo e del
freddo) che passa tra le regioni polari e l'equinoziale? Che l'ardore, il gelo;
l'estrema umidità, l'estrema secchezza; la terra affatto sterile, la sommamente
feconda; il cielo sempre sereno, il sempre piovoso; tutte queste cose sieno
state dalla natura rendute affatto indifferenti al bene e perfetto e felice e
proprio essere della specie umana?
3654 Ch'ella abbia
ugualmente disposta la detta specie a tutte queste cose, a tutti questi estremi?
Or questo è ciò che seguirebbe dal fatto, cioè dall'universale diffusione di
nostra specie, se dal fatto si dovesse argomentare {la di
lei} natura: questo è ciò che suppone veramente e necessariamente nel
fatto la detta universal diffusione, e senza cui essa non può non esser cosa
snaturatissima e contrarissima al ben essere della specie. Qual altra specie di
animali, di vegetali ec. è {+o può mai
parere a un filosofo} disposta naturalmente, non dico a tutti i
diversi estremi delle qualità de' paesi, come si pretende o è necessario
pretendere che lo sia indifferentemente la specie umana; non dico a due soli di
tali estremi; ma pure a due differenze in tali qualità, che non sieno molto
lontane dagli estremi? Qual proporzione, {quale
analogia} sarebbe tra la detta natura fisica della specie umana, e
quella di qualsivoglia altra specie, e di tutte insieme, e tra la natura
universale?